Dal latino al siciliano i significati si moltiplicano: cunzàri, scunzàri e scònza

Un buon modo per misurare la creatività e la versatilità dell’animo siculo consiste nell’osservare le sfaccettature del suo dialetto: variegato il lessico, complessa la sintassi, figurarsi poi l’ortografia e la fonetica. Per non parlare del fatto che, a partire da una singola parola, il siciliano costruisce significati a strati, allusioni a catena, che si sa da dove cominciano e non si prevede mai fin dove si spingeranno.

Esempio calzante di questa attitudine è il verbo del latino volgare “comptiare”, che letteralmente vuol dire combinare, riunire, mettere a posto. Nella Trinacria si è trasformato in cunzàri (o cunsàri, o consàri, in base alle zone), e fin qui nulla di strano. Dipendentemente dal contesto d’uso, si può quindi cunzàri un piatto, cunzàri la tavola quando è pronto da mangiare, cunzàri un letto o un vino, ma anche ‘u presèpiu in periodo natalizio, la pasta e perfino un matrimonio.

Nell’isola, infatti, la parola assume anche la sfumatura di preparare, oltre che di apparecchiare e imbandire, e spesso lo si può addirittura usare nell’accezione di conciare, come accade per il modo di dire cunzàri ‘u capìzzu, cioè fare le scarpe a qualcuno, arrecargli un danno, oppure cunzàri ppi festi, perfetto corrispettivo dell’italiano conciare per le feste.

E ancora: nella Trinacria ccu avi cchiù Sali conza ‘a minestra (chi ha più sale in zucca è colui che lo usa per condire la minestra), mentre una pietanza cunzàta è ben insaporita, così come una persona cunzàta è stata ben ridotta (o mal ridotta, se la frase è ironica) da qualcun altro o dalle circostanze.

Del verbo esiste poi l’antonimo sconzàri, con il prefisso sottrattivo s- proveniente dal latino ex, che dunque indica un oggetto scombinato, lasciato fuori posto, scondito, da riordinare, così come una persona scònza è colei che riesce a guastare l’ordine prestabilito, diventando perfino una sconzajòcu se la si vuole definire una guastafeste, o più letteralmente una “guasta gioco”.

Insomma: a quanto pare basta davvero prendere un solo termine per arricchire il dialetto siculo e il suo immaginario in maniera esponenziale, o meglio, per cunzàrlo nel migliore dei modi possibili.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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