Se in Sicilia succede una piccola disgrazia quotidiana, o se scivola di mano qualcosa di dangelòso, che magari per l’urto contro il pavimento si rompe o si disperde nell’ambiente, non è raro sentire esclamare: «Botta di sali!». O anche, se anziché dalle parti di Palermo vivete dalle parti di Siracusa: «Botta d’acìtu!».

Sale e aceto, in questa curiosa espressione dialettale in compagnia di una bella botta o batosta, sono “condimenti” immancabili. Che si rompa un vaso, si versi dell’olio, un bambino si faccia male o si sbatta un mignolo contro lo spigolo del tavolo, nominarli per un abitante dell’isola è praticamente un riflesso condizionato, oltretutto in quel vernacolo che spesso utilizziamo senza neanche accorgercene quando siamo arrabbiati, quando dobbiamo contare o quando abbiamo a che fare con un evento emotivamente intenso.

Da dove derivano, però, le due varianti di questo modo di dire? Scavando un po’ fra etimologie e testimonianze letterarie, se ne trova un’interessante spiegazione ne Il gioco della mosca di Andrea Camilleri, opera edita da Sellerio in cui il grande scrittore siciliano approfondisce la storia di 54 fraseologismi alla base di leggende o aneddoti. In proposito si legge che sono addirittura quattro le alternative, e non solo due, ovvero: «Botta d’acitu, botta di sali, botta di vilenu, botta di sangu».

Sangue e veleno, parole ben più colorite e forti delle altre, e diffuse anche nel catanese e nell’agrigentino, aprirebbero la strada a una curiosa origine dell’espressione, da far risalire probabilmente alle antiche maledizioni che ci si lanciava nella regione quando, appunto, si voleva augurare al proprio nemico un malessere fisico – in tal senso l’aceto sarebbe riconducibile all’acidità e il sale, forse, a un aumento dei livelli di colesterolo nel sangue.

Al riguardo, comunque, restano ancora oggi molti dubbi, poiché notizie più certe non sembrano essere pervenute neanche nei dizionari, sebbene Gianluca Tantillo in un articolo pubblicato da Balarm proponga una storia diversa e non meno convincente per almeno una delle versioni: «Una delle tesi più accreditate è quella legata alla raccolta di sale nelle miniere di salgemma. […] Si racconta che durante il turno di lavoro, faticoso ed estenuante, proprio i minatori, quando capitava che sbattevano lo strombolone (la testa) nelle dure pareti saline, erano soliti esclamare “botta di sale!”».

Per le altre tre, invece, non ci resta che interrogare i nostri avi, nella speranza che qualcuno di loro, per iscritto o nella tradizione orale, riesca a farci pervenire prima o poi “l’ardua sentenza” – o, perché no? – perfino più di una!

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