«Nel XVI secolo la lente convessa ha dato luogo a telescopio e microscopio con cui abbiamo studiato l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo che ci hanno cambiato per sempre. Oggi il computer, che lavora i dati tramite un nuovo strumento che chiamiamo macroscopio, ci consente di studiare l’infinitamente complesso. Cambiando la conoscenza del mondo cambiamo anche noi». Sono le parole di Paolo Benanti, il teologo romano della Pontificia Università Gregoriana che ha preso parte al convegno “Dio, Macchine, Libertà” tenutosi la scorsa settimana nell’aula magna del Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università di Catania. Cosa ci fa un teologo alla Cittadella Universitaria, sede delle facoltà tecnico-scientifiche dell’ateneo?

Nulla di strano direbbe Pitagora ma qualche studente è apparso sorpreso. In realtà la presenza è del tutto pertinente: lo sviluppo tecnologico, in particolare l’intelligenza artificiale, protagonisti della tavola rotonda, cambiano il nostro modo di essere, pensare e agire ed esigono la sinergia di esperti attinenti ad aree eterogenee: filosofi, informatici, giuristi, ingegneri e, appunto, teologi. Dal disagio che la società si trova a vivere non è immune neanche l’apparentemente periferica Catania in cui si è avvertito il bisogno di affrontare le implicazioni di questa metamorfosi. Che tipo di mutamento è in gioco esattamente?

DALLA FANTASCIENZA ALLA REALTÀ. Se Copernico ha detronizzato l’uomo dal centro del cosmo e Darwin dal centro della creazione, Freud, mostrando che l’Io non è padrone neanche in casa propria, ne ha rincarato lo smarrimento. A queste grandi umiliazioni l’uomo non sembra più voler sottostare. La domanda infatti che si pone oggi è: possiamo vincere la biologia? In questa direzione sembra andare la robotica. Esempio è la mano poliarticolata a controllo mioelettrico del progetto Hannes (Inail e IIT). A parlarne è Paolo Arena, docente al DIEEI dell’Università di Catania. «Si tratta di una mano con il 90% circa delle funzionalità di una naturale che sfrutta gli impulsi elettrici provenienti dalla contrazione dei muscoli della parte residua dell’arto e adopera strategie basate su algoritmi di intelligenza artificiale. I soggetti possono non solo muovere con elasticità la protesi ma sentirla. Il confine tra meccanico e biologico tende quindi a essere sfocato». L’artefatto dovrebbe entrare in commercio entro il 2019 per circa diecimila euro. «È di grande importanza considerando che gli incidenti sul lavoro non sono rari. Ciò ci permette di pensare a un aumento delle capacità umane», aggiunge. Una domanda sorge però spontanea, catapultandoci dalla fantascienza alla realtà: sarà possibile amputarsi un arto per uno robotico più prestante?

DAL “DOPING TECNOLOGICO” AL PROGETTO POLITICO. Pistorius forse con le sue gambe non sarebbe diventato campione, immagina Antonio Allegra, docente all’Università per Stranieri di Perugia. Il punto è che questi innesti non solo consentono un recupero di capacità umane ma rendono possibile un potenziamento non umano del nostro corpo. Tutto ciò sembra suggerire un’insofferenza verso la fragilità e la condizione umana stessa, di cui si fa interprete il transumanesimo. Il movimento culturale mira all’immortalità. Come? «La nostra mente può essere ricondotta a byte e caricata da un’altra parte, in altri corpi, come le canzoni di Spotify che si possono ascoltare in diversi formati. Così posso pensare ai corpi come a dei guanti da cambiare in base alla moda, all’utilità e, perché no, al desiderio sessuale», spiega Allegra. La proposta lede il tradizionale binomio corpo-mente ritenendo così di poter prendere in pugno l’evoluzione: «Per il transumanesimo adesso siamo noi a programmare la specie che vogliamo essere perché non ci piace morire». Fantasie? «Dico solo che è plausibile», gela. Non sono in pochi a pensarla così. Il programma politico di Zotlan Istvan, candidatosi invano alle presidenziali Usa e come governatore della California, prevedeva proprio la sconfitta della morte. Il transumanista statunitense va in giro con un microchip sottopelle col quale mette in moto l’auto e accende il computer.

UN LIMITE CHE È VIRTÙ. Se la macchina sarà in grado di liberarci da imperfezioni, potremmo fare a meno della nozione di Dio? Se per Andrea Vella dello Studio Teologico S. Paolo: «Se vediamo l’immortalità come l’avvicinarci progressivamente a una lunghezza matematicamente infinita allora Matusalemme doveva avere meno Fede»; per Arena, professore di Automatica: «Non c’è intelligenza senza errori quindi un robot non è intelligente se non sbaglia». Le ricerche infatti mirano non solo a “robotizzare” l’uomo per migliorarne le condizioni di vita, ma anche a “umanizzare” le macchine. Allora queste devono essere fallibili? L’intelligenza artificiale procede per statistica ed è questo a renderla “intelligente”. Ma l’evoluzione è frutto della statistica o del caso (sia esso fortuito o legato a finalismi)? A quante scoperte perveniamo tramite errori “giusti”? Ecco che la fede, ricordando all’uomo la sua somiglianza a Dio e i suoi limiti, può costituire una soluzione. La pensa così Andrea Vella: «Il cristianesimo e le religioni in generale hanno contribuito al progresso morale tramite la nozione di Fede». Non memento mori, ma ricordati di sbagliare per vivere.


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