Se in Italia il 14 febbraio, pur con tutti i dibattiti e i punti di vista discordanti che porta con sé, è per antonomasia la festa degli innamorati, in Sicilia San Valentino diventa invece principalmente la festa degli ziti. D’altronde, non c’è niente occasione migliore da cogliere per rispolverare un po’ di romanticismo con il proprio partner – perché è questo che traduce il siciliano zito o zita, ovvero compagno, ragazzo, moroso o nei casi più ufficiali fidanzato in casa.

Si tratta quindi di un termine che può andare bene a tutte le età e che descrive in senso lato una persona impegnata sentimentalmente in modo stabile, a prescindere dalle intenzioni e dai progetti a lungo termine che portano a zitarsi. Peraltro, ci troviamo di fronte a una parola diffusa anche in altre zone del Sud Italia, come per esempio Calabria e Puglia, e la cui radice è più antica di quanto si possa pensare.

Secondo alcuni potrebbe trattarsi di un’evoluzione degli epiteti piccìttu e piccìtta in cìttu/cìtta e poi in zitu/zita, o magari di una deformazione del castigliano cita, cioè appuntamento, anche se la teoria più accreditata è che vada piuttosto presa in considerazione la radice aramaica ţlīthā, la cui pronuncia dovrebbe assomigliare a tsita: il sostantivo voleva dire ragazza, oppure vergine, e deve essersi diffuso nell’area mediterranea ai tempi dell’impero romano, in particolare a seguito della diaspora ebraica, quando questa e altre lingue sono arrivate nell’Europa meridionale.

E così, il significato di vergine sarebbe stato associato sempre più spesso a quello di donna non sposata. Da nubile a fidanzata il passo è stato breve, tant’è che ancora oggi è comune nella Trinacria l’espressione idiomatica Chìsta è ‘a zita, ovvero Questa è la fidanzata (sott. che ti tocca), in riferimento forse alla dote di cui bisognava pur accontentarsi, o comunque al carattere e alle fattezze della fanciulla che poteva essere stata promessa sposa al giovanotto di turno.

Ai nostri giorni il detto si applica metaforicamente a contesti anche molto diversi, nei quali in ogni caso bisogna dimostrare pazienza e spirito di adattamento, mentre il dibattito linguistico sull’etimologia di zitu/zita resta aperto e chissà che non porti in futuro a nuove e affascinanti ipotesi.

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