“Mandillo”: il fazzoletto portato dagli arabi che unisce Liguria e Sicilia

C’è una parola, in dialetto siciliano, che attraverso poche sillabe riesce a unire la tradizione meridionale e la lingua creata nei libri di Andrea Camilleri alle usanze (e alla cucina) dell’Italia del nord, più precisamente della Liguria.

Si tratta del termine mandìllo, che se in dialetto genovese indica il corrispettivo di un fazzoletto, ma soprattutto un primo tipico della tradizione (i mandìlli de sea, o fazzoletti di seta, delle lasagnette quadrate da mangiare con il pesto), nella Trinacria designa invece il foulard portato fin dall’antichità dalle donne intorno alla testa, con un nodo sotto il collo e la frangia finale appoggiata sulle spalle.

Al di là delle specificità locali, il sostantivo (sconosciuto in altre parti d’Italia, sebbene Treccani online lo riporti come voce ormai desueta o sopravvissuta nelle parlate regionali) sembra quindi afferire alla stessa sfera di significato, per quanto bizzarro possa apparirci se pensiamo alla distanza geografica che separa la Repubblica marinara dalla città etnea.

Per spiegare una coincidenza tanto puntuale e curiosa bisogna fare riferimento a una popolazione che ebbe costanti e frequenti contatti con entrambe le aree, ovvero quella araba. Anticamente, infatti, mindil (o mandil) era usato in Medioriente per indicare proprio il fazzoletto, ed è probabile che venne esportato in quei centri urbani con cui i mercanti in un caso o i dominatori in un altro caso esercitavano la loro influenza.

Prima ancora che in arabo, comunque, il lemma esisteva in latino (mantele) e in greco tardo (mantelion), lingua dalla quale verosimilmente si è diffuso attraverso il Mediterraneo. All’inizio la sua accezione principale era quella di panno, pezzo di stoffa, anche se poi nel latino volgare mantellium iniziò ad acquisire nuove sfumature.

Diverso è il caso dell’italiano, per il quale fazzoletto dobbiamo risalire al vocabolo medievale fazzòlo, venuto dal latino faciolum e derivato a sua volta da facies, che voleva dire faccia: il riferimento, quindi, è ancora una volta al triangolo di stoffa che si indossava intorno al volto, per quanto la storia sicula (e a quanto pare genovese) abbia preferito prendere tutt’altra strada…

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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