Fra Palermo e Trapani la disfida dei cannoli giganti

«La prima cosa che il commissario notò supra alla scrivania di Pasquano, ‘n mezzo a carte e fotografie di morti ammazzati, fu una guantera di cannoli giganti con allato ‘na buttiglia di passito di Pantelleria e un bicchieri. Era cosa cognita che Pasquano era licco cannaruto di dolci. Si calò a sciaurare i cannoli: erano freschissimi. Allura si versò tanticchia di passito nel bicchiere, affirrò un cannolo e principiò a sbafarselo talianno il paesaggio dalla finestra aperta. “Vedo che si è servito” fici Pasquano trasenno e agguantandone uno macari lui. Mangiarono in religioso silenzio, con gli angoli della vucca allordati dalla crema di ricotta. Che andava, secondo regola, levata via con un lento roteare della lingua».

Così Andrea Camilleri, nel libro Il campo del vasaio, descrive la gioia e l’estasi con cui il commissario Montalbano e il suo amatissimo nemico dottor Pasquano si ritrovano complici in un momento di ritrovata fanciullezza affondando le labbra nella ricotta fresca e spumosa, imbiancandosi la punta del naso, emozionandosi per quella combinazione goduriosa di profumi e sapori.

Una “guantera di cannoli giganti”, perché al di sotto dei 14 centimetri bisogna diffidare. Il cannolicchio è una offesa al buongusto. “Freschissimi”, perché il cannolo va mangiato subito dopo essere stato riempito, altrimenti la cialda si inumidisce e perde croccantezza. Un segreto per riconoscere a prima vista, e morso, il cannolo fatto a regola d’arte, sono le bolle che presenta la scorza, garanzia assoluta di friabilità. Più bolle ci sono più buono è. La cialda deve essere finissima. Quella spessa vuol dire che è industriale, perché si fa più robusta per non subire danni nel trasporto.

Se questi sono i capisaldi della golosità simbolo siciliano nel mondo, le divergenze cominciano a nascere nella farcitura. In provincia di Trapani, la ricotta è esclusivamente e rigorosamente ovina, quasi grezza e poco zuccherata, senza canditi e con sole gocce di cioccolato. Nel palermitano è molto più cremosa e lavorata, generalmente più dolce. Procedendo verso oriente e verso sud, iniziano anche le contaminazioni con la ricotta bovina. Questione che, insieme alla guarnitura con ciliegia candita, scorza d’arancia o pistacchio, è in grado di dare origine a sanguinose guerre di religione.

Due sono tuttavia le “capitali” del cannolo, davanti alle quali s’inchina anche Palermo, città d’origine del cilindro ripieno di ricotta (anche se Caltanissetta continua a rivendicare la paternità). E sono: Piana degli Albanesi e Dattilo. La prima a una trentina di chilometri da Palermo e sede della più grande comunità albanofona in Sicilia; la seconda a una ventina di chilometri da Trapani.

A Piana degli Albanesi, dove si parlano due lingue, il siciliano e un idioma antico albanese pre-ottomano, l’Extra Bar è il punto di riferimento dei golosi di cannoli. Il profumo che si respira è di strutto fritto. Nel laboratorio s’impastano le cialde con farina, strutto, vino e uovo nella giuntura. L’impasto è steso “a sfoglia” e tagliato con degli stampi artigianali, dandogli così la forma tipicamente romboidale. In seguito, proprio come si faceva una volta, queste forme vengono arrotolate trasversalmente in piccole canne di circa 20 cm ed infine fritte nello strutto.

Alle estremità dei cannoli si trovano le enormi bocche colme di ricotta setacciata con zucchero e miele. La ricotta è di pecora, nelle sue tipiche note forti e genuine. Si ottiene grazie ai freschi pascoli montani del territorio Pianese. Ancora fresca, viene lasciata “riposare” facendola colare e compattare. Poi viene passata a setaccio, mescolata a mano ed infine zuccherata e condita con le gocce di cioccolato. I canditi servono a decorare solo l’esterno.

All’Extrabar i cannoli si riempiono al momento di essere consumati, per garantirne la freschezza e la fragranza. Mediamente un cannolo è tra i 15 ed i 20 cm e pesa 180 grammi, ma è possibile acquistare anche il formato medio (350 gr) e il magnum (3 kg). Il costo varia con il peso.

A Dattilo, frazione di Paceco, una parrocchia, nessuna banca, una farmacia, seicento abitanti, forse meno, l’Eurobar è un luogo di pellegrinaggio. Non c’è bisogno di navigatore per trovarlo, appena arrivate nel paesino dove vedete un assembramento di persone c’è l’Eurobar. Vengono da tutta la Sicilia e sono tutte intente ad affondare le labbra in cannoli titanici. Sono più rotondi e stretti, rispetto a quelli di Piana degli Albanesi, e la ricotta è meno lavorata, più grezza e meno zuccherata. Canditi banditi, soltanto qualche goccia di cioccolato è ammessa nell’impasto rigorosamente di ricotta di pecora.

Nel bancone pieno di babà, dolci margherita e altre leccornie non li vedrete mai. Il motivo è semplice: i cannoli di Dattilo (come tutti quelli “seri”) vengono riempiti al momento. Quello che il titolare, un omone di mezza età, senza capelli, ti stende su un vassoio è un cannolo di 20 centimetri, 200 grammi di peso, 30 di guscio e 170 di ricotta. Cialda impastata con aceto e olio di oliva, fritta nello strutto, piena di piccole bolle imbiancate di zucchero a velo. Bocche generose, ricotta grezza fatta in zona Segesta, appena zuccherata. Costa 2,70 euro, equivale a un pasto completo. Per lui è venuto a Dattilo anche lo chef Carlo Cracco in una puntata di “Dinner club”, la trasmissione di Prime Time Amazon tv.

Qual è il migliore dei due? È come proseguire nella banale e superata disputa tra arancino e arancina. Sono buoni tutti e due.

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Laureato in Lettere moderne. Giornalista professionista. Ha collaborato con Ciao2001, Musica Jazz, Ultimo Buscadero, Il Diario di Siracusa. È stato direttore del bimestrale Raro! e caposervizio agli spettacoli al quotidiano "La Sicilia". Nel 2018 ha curato il libro "Perché Sanremo è (anche) Sicilia”. Nel 2020 ha scritto “Alfio Antico. Il dio tamburo” pubblicato da Arcana.

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