Dopo una giornata particolarmente pesante, conclusasi magari con un’oretta in palestra nel tentativo di smaltire lo stress, il tipico siciliano non è stanco, bensì… tutto scucchiatu! Letteralmente a pezzi, tutto rotto.

Dal latino copulare al siciliano ‘ncucchiare. L’aggettivo nasce come participio passato del verbo scucchiari, la cui storia dal latino al dialetto è piena di passaggi evolutivi. Si parte dal verbo “copulare” – a sua volta dal sostantivo “copula” (“unione, legame”) – che in lingua latina significa “unire”: aggiungendo ad esso la preposizione “ad” si ottengono l’italiano “accoppiare” e le espressioni siciliane accucchiare (“accumulare”) e ‘ncucchiare con la trasformazione della ‘p’ in ‘ch’ (vedi “piana” che diventa “chiana”, “pianto” “chiantu”). La prima forma si riscontra in locuzioni tipiche come “Accucchiasti settant’anni” per sottolineare con ironia che qualcuno ha raggiunto i 70 anni di età. Il secondo termine dialettale significa invece “unire, accoppiare” ed è usato in frasi tipiche come “‘ncucchiari i testi” per indicare la difficoltà a trovare un punto d’incontro tra due teste calde.

Da ‘ncucchiare a scucchiare. Laddove la preposizione “ad” indica un rafforzamento, qualcosa in aggiunta, la preposizione latina “ex” con valore privativo indica una separazione. È così che aggiungendo “ex” al verbo “copulare” si ottiene il siciliano scucchiari, cioè “separare, discernere, scegliere”. Pertanto sentirsi tutto scucchiatu significa davvero sentirsi frantumato, tutto rotto, come se le singole parti del corpo fossero separate l’una dall’altra. Da questa stessa radice nasce anche la forma scucchiariatu, un aggettivo che indica chi si lamenta troppo facilmente sostenendo di non essere in forma. Insomma, chi incarna perfettamente il principio “Vo’ stari bonu?! Lamentiti!” (“Vuoi stare bene?! Lamentati!”).

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