Con l’arrivo dell’estate, nei piatti siciliani torna a regnare una delle verdure più “tenere” della gastronomia della provincia catanese. Per chi ancora non li conoscesse, non li avesse mai assaggiati o fosse semplicemente curioso quanto noi di saperne di più, ecco il nostro approfondimento

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]I[/dropcap]l tinnirume, foglie e cime di cucuzzeddra siciliana, quella lunga, liscia, di un bianco appena allordato di verde, era stato cotto a puntino, era diventato di una tenerezza, di una delicatezza che Montalbano trovò addirittura struggente. Ad ogni boccone sentiva che il suo stomaco si puliziava, diventava specchiato come aveva visto fare a certi fachiri in televisione». Così famosi da essere stati resi celebri da Andrea Camilleri in un passo del racconto Il cane di terracotta, così buoni da essere cucinati caldi caldi perfino in piena estate: che i cosiddetti taddi siciliani abbiano caratteristiche sovrannaturali?

Forse del tutto magici in realtà non sono, però la loro tradizione è sacra da secoli tanto nel mondo contadino, prima, che adesso in quello urbano, in particolare nella gastronomia della provincia catanese. Per chi ancora non li conoscesse, non li avesse mai assaggiati o fosse semplicemente curioso quanto noi di saperne di più, facciamo un passo indietro spiegando che il loro arrivo nell’isola si deve probabilmente al popolo dei Fenici, per il quale era già comune coltivare la zucchina lunga, chiamata anche serpentina e caratterizzata dal colore verde chiaro e dalla forma affusolata. Le sue foglie bianche, in italiano chiamate tenerumi, vengono raccolte nell’arco di tempo che va da giugno a ottobre e usate in cucina per preparare minestre dai conclamati benefici diuretici.

L’etimologia della loro denominazione dialettica è altrettanto antica e risale in effetti a un sostantivo greco individuato in θαλλóς (thallòs), che per l’appunto significa germoglio. Come altre parole contenenti una doppia “l”, il lessema si è evoluto trasformando la consonante liquida nella dentale “d” (vedi ad esempio addumari, cioè accendere, dal francese allumer), ma ha conservato il significato originario e lo ha applicato in maniera più peculiare a una sola verdura, nel caso specifico a una fra le più “tenere” di nome e di fatto fra quelle che vengono cucinate nella ridente Trinacria.

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