Il “prìo” siciliano, a metà fra la gioia e la vanagloria

Superare un colloquio di lavoro, o un esame importante. Riabbracciare un amico dopo tanto tempo, visitare una nuova città, ricevere un complimento o un regalo, ascoltare una canzone commovente. Sono tutti validissimi motivi per i quali, se qualcuno in Sicilia dovesse osservare la vostra reazione, direbbe che vi siete priàti.

Il verbo riflessivo priàrsi (o priàrisi, in base alle zone) è infatti il più indicato per esprimere in dialetto quel senso di gioia mista a soddisfazione che si prova nel momento in cui un episodio o un ricordo ci fanno letteralmente gongolare, rendendo lucidi i nostri occhi e largo il nostro sorriso.

Usato in modo piuttosto uniforme in numerose zone della regione, il lemma deriverebbe dal catalano prearse, ovvero mostrarsi soddisfatto, compiacersi, e anche se altre ipotesi lo vedrebbero provenire a sua volta dal latino praecăvĕo è improbabile che vi sia un nesso tra le due parole, se consideriamo che quest’ultima voce significa in realtà evitare, impedire, stare in guardia: tutto l’opposto di chi è al settimo cielo e, invece, si lascia andare a un profondo senso di benessere.

Attenzione, però, perché il prìo in dialetto non indica solamente l’allegria genuina e pura, ma pure – se il contesto lo permette – un certo compiacimento vanitoso delle proprie qualità, di un’azione che si è portata a termine, di un risultato compiuto o di altri eventi dei quali il merito reale o percepito sia fatto ricondurre a sé stessi.

Priàrsi, quindi, passa con facilità dal descrivere la purezza di uno stato d’animo positivo e contagioso al notare con una punta critica chiunque stia dimostrando un’alta opinione di sé, esibendo forse un’autostima eccessiva rispetto alla situazione o, in ogni caso, facendo sfoggio di un autocompiacimento che è impossibile passi fino in fondo inosservato.

Fra i due aspetti intercorre una sfumatura di senso sottile e tuttavia importante, che il popolo della Trinacria ha lasciato di proposito nell’ambiguità lessicale e semantica, permettendo di volta in volta a termini come questi di descrivere con poche sillabe le tante e parallele sfaccettature che può possedere l’animo umano.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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