La dubbiosa origine di “prìcchiu”, l’aggettivo siciliano degli avari
Conoscete anche voi una persona che per carattere assomiglia allo zio Paperone? Una persona legata al suo denaro in maniera spropositata, che non lo presta nemmeno se scongiurato e che in un’altra vita era forse Ebenezer Scrooge di Un canto di Natale firmato Charles Dickens? Se sì, la parola di cui ci occupiamo oggi fa proprio al caso vostro, dal momento che definisce con particolare enfasi chiunque sia affetto da un’avarizia cronica.
La Sicilia, d’altronde, è una terra di eccessi per definizione, che a fondali profondi abbina la vetta elevatissima dell’Etna, e che a piatti salatissimi della cucina tradizionale fa poi seguire dei dessert che più zuccherati non si può. Niente di strano, quindi, che anche la personalità della sua popolazione sia generosa e accogliente, per un verso, e un po’ meno aperta e altruista, per l’altro verso. Nel caso in cui si volesse definire qualcuno per la taccagneria che dimostra, quindi, un aggettivo in dialetto viene in nostro soccorso, e cioè prìcchiu (o prìcchia, al femminile).
Usato anche nella variante pìrchiu, in base all’area geografica in cui ci troviamo, questo termine ha un’origine antichissima, tant’è che deriva dalla voce latina pilus, cioè pelo o capello. Una persona prìcchia è dunque colei che si attacca perfino al pelo più sottile quando deve sborsare la benché minima somma di denaro. Un aggettivo simile presente in siciliano è pìllicu o pillicùsu, che ha lo stesso significato e che potrebbe essere reso in italiano con pidocchioso, per l’appunto sinonimo di spilorcio.
Questa seconda parola, però, solleva un dubbio di matrice storico-linguistica, poiché pìllicu si sarebbe imposto nell’isola dopo la dominazione spagnola, derivando quindi dal corrispettivo iberico pelón, a sua volta proveniente dal latino pilus che abbiamo già citato. Non è chiaro, di conseguenza, se il dialetto sia debitore all’impero romano o alla più recente coabitazione con la Spagna per la diffusione del termine. Una cosa, però, è certa: l’aggettivo è ancora oggi vivo e vegeto, e viene usato (sfortunatamente) in parecchie occasioni quotidiane.