Secondo un antico detto èssiri di casa e putìa significava, con un equivalente italiano tuttora molto utilizzato, essere una persona casa e chiesa. Ma cos’è realmente la putìa (o putìca, nella zona del messinese)? Scopriamolo insieme

Fino a poco tempo fa qualcuna resisteva ancora perfino nelle grandi città della regione, ora trovarne una si fa sempre più difficile e anche il concetto stesso che sta dietro a questi punti di ritrovo si sta perdendo, trasformandosi il più delle volte in un’idea vaga e solo in parte corretta dal punto di vista storico e filologico. Stiamo parlando della putìa, una vera e propria istituzione nella cultura popolare siciliana.

Non a caso, secondo un antico detto èssiri di casa e putìa significava, con un equivalente italiano tuttora molto utilizzato, essere una persona casa e chiesa, con la differenza che nell’isola il secondo punto del tragitto di andata e ritorno non era costituito da un luogo sacro, bensì da un piccolo esercizio commerciale. Così come anche nella lingua nazionale, peraltro, l’espressione in determinati contesti ha anche il significato di essere di vedute strette, essere un po’ bigotto, nel caso di persone abituate per l’appunto a frequentare sempre e solo alcuni posti familiari.

Ma cos’è realmente la putìa (o putìca, nella zona del messinese)? Oggi per lo più viene scambiata per una locanda post-moderna, in cui si beve, si parla in dialetto e non si discute dei massimi sistemi, abbandonandosi di quando in qua a grasse risate in comitiva. Un posto da evitare, insomma, se non si vuole perdere la reputazione e a lungo andare non ci si vuole rovinare il fegato. Questa istituzione, vista oramai poco di buon occhio, nei secoli scorsi indicava in realtà tutt’altro: la putìa era quella di scarpàru, di custurera, di varveri. Era cioè il piccolo negozio del calzolaio, della sarta o del barbiere, senza alcuna connotazione particolare.

Certo, esisteva già allora la putìa di vinu, ovvero l’osteria, ma con le altre botteghe condivideva un’etimologia tutt’altro che “sinistra”: l’origine, infatti, è quella greco-latina della parola apotheka (lett. magazzino, deposito), che guarda caso si è evoluta proprio in bottega in italiano e in alcuni dialetti della penisola, rimanendo invece in alcune lingue neolatine nell’accezione di farmacia ante-litteram. La sua esistenza, quindi, non è prerogativa della sola Trinacria, ma di un contesto mediterraneo ben più ampio e ben più antico di quanto si possa sospettare.

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