L’incerta storia della pasta ‘ncaciata, originaria di Mistretta
Immaginate di trascorrere una giornata in provincia di Messina, di visitare borghi e spiagge, siti archeologici e musei. Oppure immaginate di tornarci dopo qualche tempo trascorso altrove, e immaginate che (nell’uno o nell’altro caso) sia giunta l’ora di andare a mangiare da qualche parte. Che voi siate soli o in compagnia, è probabile che la vostra scelta finisca per ricadere per un primo piatto tipico della zona, di cui non per niente sono in molti ad andare matti: la pasta ‘ncaciata (o ‘ncasciata).
A dirla tutta, se anche non vi trovate in Sicilia in prima persona, potreste averla sentita nominare attraverso le parole di Andrea Camilleri e i rispettivi adattamenti per il piccolo schermo delle sue storie con protagonista il commissario Montalbano, dal momento che questo personaggio ne è ghiotto a sua volta e addirittura nell’episodio La giostra degli scambi viene sorpreso a divorarla dalla teglia stessa.
La ricetta, che si tramanda di generazione in generazione in tre versioni in base all’area geografica, consiste in un piatto di maccheroni al forno, da farcire con caciocavallo e melanzane fritte. Dopodiché, a Messina si aggiunge il ragù (e la si serve di solito per Ferragosto), a Palermo si fa ricorso al sugo semplice e a Ragusa si opta in aggiunta per salsiccia o altri salumi. Per i più golosi, ci teniamo ad avvisarvi, si valuta addirittura un arricchimento di uova sode e/o di piselli.
Al di là della sua fama e della sua indiscutibile bontà, però, da dove deriva (quantomeno etimologicamente) questa prelibatezza sicula? Ebbene, qui è dove le fonti si dividono: secondo alcuni, dovremmo infatti considerare la provenienza dal sostantivo ncaçiu, tipico del dialetto mistrettese da cui deriva la pasta, e che descriverebbe l’azione di “rivestire la casseruola con la brace”; secondo altri, invece, il suo nome si deve alla presenza del cacio, da cui deriverebbe di conseguenza l’aggettivo ‘ncaciata.
Fino a oggi non si è trovata una visione concorde della questione, in virtù anche della complessità del dialetto siciliano, mentre si è tramandata con più certezza l’antica abitudine di cuocere i maccheroni in una brace (come già accennavamo), o in tempi più recenti in un recipiente di terracotta. Al di là delle sue varianti culinarie e linguistiche, comunque, di una cosa siamo certi: la pasta ‘ncaciata a tavola mette sempre tutti d’accordo.