In Sicilia molti appassionati di caccia escono per praticare questa attività provvisti di scupetta: no, non pensate che siano in preda a manie di pulizia nel cuore dei boschi e abbiano portato con sé una piccola scopa. La scupetta è un’arma da sparo che ebbe la sua massima diffusione nell’isola in età garibaldina, al punto che tra Sicilia e Calabria si diceva che “cu non ndavi la scupetta mai non inchi la buffetta“, ossia “chi non possiede un fucile non ha mai viveri con cui apparecchiare la tavola”. L’arnese, un fucile a canna lungo con appoggio sulla spalla, era usato soprattutto per andare a caccia di conigli e selvaggina varia, sostentamento di famiglie numerose.

Origine e modi di dire. In italiano corrispettivo di scupetta è “schioppo”, dal latino scloppus, che con origine onomatopeica indicava uno scoppio, uno schiocco o il rumore di chi batte sulla guancia a bocca chiusa. Il dialetto siciliano probabilmente ha assorbito il termine durante la dominazione spagnola, dato che l’etimologia di scupetta sembrerebbe da collegare a escopeta, cioè appunto un fucile da caccia. Da scupetta derivano scupittata, cioè il colpo di fucile, e scupitteri, colui che lo aggiusta: a Lentini, comune in provincia di Catania, c’è una parte di via Matteotti che in paese è conosciuta come “gghianata do scupitteri”, “salita dello scupitteri”, proprio perché fino alla fine degli anni ’50 vi era la bottega di due fratelli artigiani specializzati nel sistemare quest’arma. In Sicilia per la gente comune possederla era motivo di vanto e si diceva che chi giungesse a venderla lo facesse solo perché ridotto al verde. La sua diffusione fu tale che diede origine a molti modi di dire: cani e scupetta… u cunigghiu i spetta, “cane e fucile, il coniglio li aspetta”, nel senso che ognuno ha il proprio destino segnato. E ancora: mughhièri, ràloggiu e scupetta, stràvisanu la sacchetta, “moglie, orologio e schioppo stravolgono le tasche” per le spese che comportano.

Usanze carnevalesche. Ancora oggi quest’arma, benché meno diffusa rispetto a un tempo e sostituita da altri tipi più moderni, è usata in alcuni paesi siciliani allo scoccare della mezzanotte tra martedì grasso e mercoledì delle ceneri per indicare la fine dei festeggiamenti carnevaleschi e l’inizio della Quaresima.

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