La storia dei “lapardèi”, gli scrocconi siciliani ispirati a un esercito
Avete presente quegli amici che, quando vi fanno visita, non si trattengono dallo sgranocchiare tutti gli snack che mettete loro davanti? O quei parenti che colgono l’occasione di una cenetta di famiglia per fare il bis, il tris e perfino il quater? In italiano li chiameremmo golosoni, con una sfumatura di scrocconeria in base ai contesti… In Sicilia, invece, li definiremmo senza dubbio dei lapardèi.
Si tratta di un aggettivo che d’istinto assoceremmo forse al regno animale, orientandoci fra i felini selvatici e la fauna della savana, con in mente l’idea che solo delle specie particolarmente voraci possano avere ispirato la fantasia lessicale della Trinacria. Eppure, la realtà è ben diversa, e ci porta indietro nel tempo di parecchi secoli per provare a inquadrare come si deve l’etimologia di questa parola.
Correva l’anno 1720 e la regione, per la prima volta, passava in mano austriaca per la durata di quindici anni, quando da Vittorio Amedeo II di Borbone diventò ufficialmente un territorio affidato al controllo del sovrano Carlo VI d’Asburgo. Una parentesi breve ma intensa, che vide i soldati austriaci gozzovigliare sempre più spesso fra le strade dell’isola, frequentando per consuetudine le osterie e – deliziati dalle loro tante pietanze tipiche – facendo piazza pulita di qualunque portata si ritrovassero davanti.
Una tendenza che non passò inosservata a molti ristoratori e cittadini, e che ben presto si configurò come una delle peculiarità degli Hallabardier, nome riservati agli alabardieri stranieri e più in generale, per sineddoche, ai soldati austriaci nel loro insieme. Trattandosi di un termine difficile da pronunciare per un abitante del Sud, l’appellativo venne poi trasformato e adattato in una forma più semplice da replicare, che da lapardèri diventò per l’appunto lapardèi.
Una trovata linguistica efficace e sfortunata, che non sparì nel 1734 con l’allontanarsi degli Asburgo e che, al contrario, restò radicata nella tradizione dialettale siciliana, configurandosi ai nostri giorni come un retaggio dei tempi che furono ancora molto utilizzato in situazioni informali e goliardiche, per rimproverare bonariamente chi è sempre in cerca di una porzione in più (di cibo, o metaforica) con cui leccarsi i baffi.