Se vi è capitato di sfogliare un libro di ricette siciliane e vi siete imbattuti, per caso o per una vostra precisa curiosità, nella voce aggrassàtu, potreste aver pensato di trovarvi di fronte a un piatto con una buona dose di grasso animale. O, se avete trovato la variante agglassàtu, avrete magari ipotizzato che si tratti di qualche dolce tipico…

Eppure, in realtà nessuna di queste due idee è corretta, e a maggior ragione se è invece la prima volta in cui incontrate questo termine, ecco qualche chiarimento che potrebbe tornarvi utile: in primo luogo, i due nomi si riferiscono sì alla stessa pietanza, che però è composta da una carne cotta in tegame insieme ad aromi e cipolla.

In secondo luogo, se si chiama così, è proprio per via di uno dei suoi ingredienti immancabili, ovvero la cipolla appena menzionata. Dal momento che la preparazione richiede una cottura lunga e a fuoco lento, infatti, la presenza di quest’ultima va ad avvolgere la carne formando un sottile strato di glassa.

Agglassàtu o aggrassàtu è, di conseguenza, lo spezzatino che una volta servito risulta morbido, gustoso e particolarmente lucido alla vista, e che viene preparato spesso in occasione di una ricorrenza familiare, di una domenica trascorsa in compagnia o – più semplicemente – quando si ha voglia di un cibo caldo e sostanzioso da accoppiare a un buon bicchiere di vino.

E se, a questo proposito, vi starete chiedendo da dove derivi dal canto suo il sostantivo glassa, che in genere si riferisce al «rivestimento opaco a base di zucchero adoperato per decorare torte o pasticcini», come lo definisce l’Enciclopedia Treccani, vi interesserà forse sapere che la sua origine è da rintracciare in territorio d’oltralpe.

Sì, perché il lemma di riferimento è il francese glace (XVIII secolo), che in italiano significa ghiaccio e che ha in comune con la patina in questione proprio l’effetto di sottile trasparenza che ricopre gli alimenti.

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