Comunemente il nome indica una pagnotta di forma rotonda e senza buco al centro che viene venduta soprattutto nell’area palermitana e nelle province orientali di Catania e Siracusa. Ma altrove, questo termine dall’etimologia incerta indica qualcosa di ben diverso

Alla pari di altre regioni italiane, la Sicilia è nota nel nostro Paese e all’estero per la bontà del suo pane. Fatto in casa o acquistato in panifici a produzione artigianale, infatti, questo alimento si contraddistingue per la quantità e qualità delle farine utilizzate, per le forme molto diverse a cui dà vita e, non da ultimo, per i nomi curiosi che vengono attribuiti a ogni sua variante. Oggi ci occupiamo in particolare della vastedda, ovvero quella pagnotta di forma rotonda e senza buco al centro che pesa dai 500 grammi al chilo e mezzo, e che viene venduta soprattutto nell’area palermitana e nelle province orientali di Catania e Siracusa.

Con alcune differenze, in realtà, un tipo di pane con lo stesso nome si trova anche nella cittadina di Ramacca, in provincia di Catania, dove viene venduta anche sottoforma di filone o di ciambella (chiamata cucciddatu). In maniera analoga, nella provincia di Enna e precisamente a Piazza Armerina esiste invece il vastidduni, di dimensioni maggiori e che si riconosce per via di una mollica più consistente e una crosta meno sottile. E non è tutto: in provincia di Palermo e nella Valle del Belice, la vastedda diventa addirittura un formaggio! Nel primo caso si tratta di un prodotto P.A.T. e nel secondo di uno D.O.P., che come si intuirà hanno preso spunto dalle panetterie per denominare un latticino a propria volta rotondo.

A fronte di una simile ricchezza di versioni, ciò che stupisce è che ben più incerta e nebulosa sia l’etimologia della parola dialettale. Secondo le ipotesi più accreditate, la sua origine sarebbe da fare risalire al normanno wastel, poi diventano guastel e trasformatosi nell’antico francese gastl. Il termine stava a indicare una sorta di focaccia alla ricotta e potrebbe, quindi, essere l’antesignano della più recente forma di pane, sebbene secondo altri la vastedda provenga piuttosto dall’aggettivo siciliano vasto. La voce, che in italiano è traducibile con guasto, si riferiva in particolare alla pasta fermentata male durante la canicola estiva, e ha dunque un collegamento logico e semantico più debole con l’alimento di cui abbiamo parlato.

Qualunque sia la verità, su un elemento sono tutti d’accordo: che sia una pagnotta o un formaggio, la vastedda rimane comunque un’irresistibile specialità della cucina regionale.

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