Ma chi gliel’ha detto di mettersi a scannare galline come uno scassapagliaro qualsiasi?», si legge a pagina 127 del libro Il corso delle cose, pubblicato con Sellerio dal compianto scrittore siciliano Andrea Camilleri. Una frase comprensibile e dal tono molto diretto, che al suo interno contiene però un appellativo dai contorni non sempre così chiari.

Lo scassapagliàro, infatti, in Sicilia è noto anche come scassapagghiàru, scassapagliai, scassapagghiàri e scassapagghiàra, a seconda delle zone, e significa letteralmente «persona che scassa (cioè scassina, distrugge) i pagliai». Nella sua accezione originaria, quindi, che possiamo anche ritrovare nel testo di Camilleri, la parola designa un ladro delle campagne, che disturbava la quiete apparecchiando furti minori nei solai in cui si conservavano i cereali.

Naturalmente, si trattava di figure viste di cattivo occhio dalla popolazione locale, che non aveva per loro chissà quale considerazione e che non li temeva poi granché, ritenendoli dei ladruncoli di poco conto che al massimo potevano ambire a fare i rubagalline con scarsi risultati.

Con il passare del tempo, quando la pratica è stata accantonata e l’attività agricola è stata accompagnata da una sempre maggiore industrializzazione, il termine si è mantenuto nell’uso dialettale ed è arrivato fino ai nostri giorni con una sfumatura leggermente diversa: è raro, infatti, che si dia dello scassapagliàro perché lo si crede davvero un ladruncolo.

Piuttosto, l’appellativo è diventato sinonimo di delinquente di poco conto, mariolo da strapazzo, se non addirittura di buono a nulla e fanfarone. Accaparrandosi una parte del raccolto dei granai, d’altronde, i malviventi non potevano certo arricchirsi o cambiare tenore di vita, e si accontentavano dunque di una refurtiva modesta mentre continuavano a non fare granché nella loro quotidianità.

Oggi, di conseguenza, il sostantivo è utilizzato in numerose circostanze, definendo con un’espressione antica e colorita chi, pur facendo tanto il gradasso, è spesso svogliato e incapace di prendere in mano il proprio destino.

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