L’inconfondibile “vucciddatu”, il tipico pane siciliano a forma di ciambella

Tra studenti fuori sede e lavoratori, molti Siciliani residenti al nord hanno nostalgia del mare, del bel tempo soleggiato e del…pane! E sì, perché difficilmente fuori dalla Sicilia si può trovare il vucciddatu! Avete presente il pane leggero, privo di mollica e che si sbriciola facilmente tipico dell’Italia settentrionale? Ecco: immaginate l’opposto e avrete il vucciddatu, un pane a forma di ciambella così sostanzioso e ricco di mollica al suo interno che risulta difficile prenderne un pezzettino che pesi meno di 80-100 grammi!  Di solito lo si trova in forme da 500 o 1000 grammi ed è caratterizzato da una crosta dura e un interno morbido tali da consentirne la conservazione per più giorni. Ma da dove deriva questa denominazione?

L’etimologia. Ancora una volta, il termine vucciddatu, con le sue varianti guccittadu, cucciddatu e altre ancora, affonda le sue radici nella lingua latina, non senza un possibile antesignano greco. L’etimologia più diretta è dal latino tardo buccellatum, che indica un tipo di pane “sbocconcellato”, ridotto in piccoli pezzi e dato come razione di cibo ai soldati. Si tratta di un derivato da “buccella, diminutivo di “bucca”, ossia “bocca”, da intendersi quindi come “piccola bocca” o anche per estensione “piccolo pane tenerissimo”.

I modi di dire. Esistono due modi di dire simili, usati in varie parti della Sicilia, che contengono la parola in questione: “me patri si chiamava vucciddatu ed ìu mi moru di fami” e “me patri era gucciddatu ed ìu moru di fami”. Letteralmente: “mio padre si chiamava/era vucciddatu e io muoio di fame”, come a dire che anche avendo un padre ben nutrito e robusto come una forma di pane, il figlio può comunque morire di fame perché non sempre la ricchezza degli avi giunge agli eredi. Risulta però difficile ipotizzare che nella Sicilia di qualche secolo fa si desse del vucciddatu al padre, per questo c’è un’altra ipotesi relativa all’origine di questo modo di dire. È probabile che si tratti di una storpiatura da un termine greco tardo non del tutto chiaro, come βουκελλάτης (/bukellates/) da intendersi come “creatore di βούκελλαι”, cioè di forme di pane. In questo caso il proverbio assumerebbe tutt’altro significato: “Mio padre è panettiere e io muoio di fame”, come a dire che non sempre si può vivere di rendita.

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Laureata con il massimo dei voti in Filologia Classica all’Università degli Studi di Catania, Olga Stornello (classe 1994) è giornalista pubblicista dal 2019. Dopo aver acquisito il tesserino grazie alla collaborazione con varie testate (tra cui, oltre “Sicilian Post”, il quotidiano “La Sicilia”), ha frequentato il master RCS Academy “Scrivere e comunicare oggi: metodo Corriere” nel 2020. Tra le sue intramontabili passioni, al di là della scrittura, si annovera anche la danza, che pratica da sempre.

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