Spesso parlare di Sicilia equivale a parlare di enogastronomia. Numerose sono infatti le ricette per cui l’isola è diventata famosa in tutto il mondo, né potrebbero essere da meno i verbi dialettali che riguardano l’ambito culinario, la cui ricchezza si riflette quasi sempre nella parlata quotidiana dagli abitanti del posto.

Esemplare in tal senso è il termine squaràri, derivante dal latino excaldare (cioè riscaldare) e che come primo significato ha quello di bollire o di lessare: nel caso della pasta, quindi, squaràta è quella cotta ma priva di condimento, mentre in senso figurato il vocabolo apre in realtà la strada a tante altre sfumature curiose.

Fuori dalla cucina, infatti, squaràri vuol dire in primo luogo arrossire per il calore, con la conseguenza che è un lemma a cui si fa ricorso nelle situazioni più disparate: Staju squarànnu, ovvero Mi sto sciogliendo, è la tipica esclamazione di chi patisce gli effetti della calura estiva sulla propria pelle, per dirne una, mentre C’haju ‘i scilli squaràti è il modo in cui comunemente si comunica di avere le ascelle un po’ arrossate.

Per non parlare del fatto che, in base al contesto, una cosa squaràta può essere disadorna, squallida, addirittura sterile. Ecco perché Haju raggiùni, ma m’a mangiu squaràta è l’amara considerazione di chi, pur sapendo di avere ragione, capisce che la sua opinione non gli darà alcuna soddisfazione, se non quella metaforica di nutrirsene miseramente dopo averla cotto sul fuoco.

Ultima, ma tutt’altro che per importanza, è poi l’accezione di mangiarsi la foglia, accorgersi che si osserva in frasi quali S’a squaràu, letteralmente L’ha capito, in riferimento a un episodio che si sarebbe preferito non lasciare intuire al proprio interlocutore – mentre nel caso in cui si volesse condividere con qualcuno una previsione improbabile, basterà esordire con T’a squari si… (it. Te l’immagini se…) per dare libero sfogo alla fantasia.

A volte, insomma, è sufficiente ricorrere a una sola parola per scoprire i tanti impliciti del dialetto siciliano, che con la sua poliedricità ci trasporta da una tavola imbandita alla canicola d’agosto, passando per delle immagini simboliche di efficacia sorprendente.

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