Quando non c’erano i videogame: la storia del gioco siciliano dello “sciancateddu”
Si tratta di un passatempo che negli ultimi decenni ha forse perso vigore, sostituito da altri tipi di hobby fra i più piccoli, ma che per chi l’abbia provato almeno una volta rimane un ricordo d’infanzia indelebile. Scopriamone le origini, l’etimo e le regole
Molto prima dei millennials e dei videogame analogici e digitali, intere generazioni di ragazzini siciliani trascorrevano le giornate inventando passatempi di ogni sorta, dal lancio del tuppètturu, di cui vi abbiamo già parlato, al cosiddetto sciancatèddu. A onor del vero, si tratta di un gioco che arriva da lontano e che tuttora è conosciuto in tutto il mondo, dal Brasile alla Thailandia, dall’Australia al Mozambico. Eppure, nella Trinacria è stato fin da sempre accolto con un tale entusiasmo da essere tramandato di generazione in generazione non solo con allegria, ma anche con una grande ricchezza lessicale.
In base alle aree geografiche, infatti, lo sciancatèddu è conosciuto come ‘a tringa, ‘u pirùzzu, popò, la marèdda, ‘u tuòrnu, la quadrella, ‘u quatratu, ‘u campanaru, ‘a chiavuzza o ‘a pulcinedda, pur restando sempre e comunque l’equivalente italiano della campana. L’etimologia della variante sicula più comune deriva dall’aggettivo sciancàtu, cioè zoppo o storpio, proprio come chi si muove reggendosi su un solo piede e avendo quindi il baricentro fuori dall’anca. Oltre a ciò, sembra ci sia un legame con l’antico verbo greco skìzo, che non a caso significava rompere, lacerare.
Le regole sono un po’ ovunque le stesse: si disegna per terra un tracciato composto da 8-10 quadrati numerati, poi ciascun giocatore inizia a lanciare una pietruzza sul quadrato numero 1. Se ci riesce, può saltellare da un quadrato all’altro con un piede solo, senza toccare la casella in cui è poggiato il suo sasso e girando su sé stesso quando arriva alla fine, per poi completare il percorso anche a ritroso e prendere senza cadere il sassolino da terra quando si trova nel quadrato corrispondente. Una volta ultimato il giro, tira la pietruzza sul quadrato numero 2 e così via, finché non sbaglia o non vince. Fondamentale è non toccare mai i bordi, non cadere e appoggiare contemporaneamente i due piedi per terra solo nel caso di due caselle poste l’una vicina all’altra.
Un gioco che non appassiona più come un tempo, sostituito da altri tipi di hobby fra i più piccoli, ma per coloro che l’hanno provato almeno una volta rimane un ricordo d’infanzia indelebile.