Rompere o aggiustare?
Lo strano caso
del termine “abbissàri”

Un altro anno ormai è alle nostre spalle, e non un anno qualsiasi: il 2020 resterà probabilmente negli annali per diversi decenni, fino a quando non verrà tramandato da genitori a figli e da nonni a nipoti, per gli eventi che si sono susseguiti dal celebre palco dell’Ariston a un inconsueto cenone di Capodanno. Ora che ce lo siamo lasciato indietro, se lo dicessimo alla maniera dei siciliani, potremmo affermare che pure questa sfida l’abbiamo abbissàta.

Può darsi, però, che non tutti i nostri lettori trovino sensata quest’ultima frase, e che qualcuno di loro sia rimasto accigliato nel notare l’uso di un verbo parecchio diffuso in dialetto e dalle molteplici sfumature. Se, infatti, da dizionario il termine abbissàri vuol dire in primo luogo sprofondare, inabissarsi, e quindi per estensione cadere in rovina, a seconda delle aree della regione può assumere significati anche molto lontani dalla sua etimologia.

Particolarmente attestata è, per esempio, una valenza affine a dileguarsi, battersela e quindi partire in fretta e furia, perché dopotutto chi precipita sotto la terra sparisce in maniera repentina alla vista, un po’ come se avesse deciso all’improvviso di darsela a gambe e di sgattaiolare via da una determinata situazione. Ciò spiega come mai l’uso dell’imperativo (Abbìssa!) sia sinonimo di Pussa via, Vattene e venga utilizzato non di rado per mandare al diavolo più o meno bonariamente il proprio interlocutore.

E non finisce qui, dato che, oltre al senso riflessivo, la parola è intesa anche nella sua variante attiva di rovinare qualcun altro, cioè di fare precipitare lui o lei negli abissi anziché sé stesso. Da qui viene intuitivamente un’ulteriore accezione del verbo, che specie nel ragusano equivale a dire sciupare o guastare, mentre significati meno ricostruibili sembrano quelli di indovinare e perfino di pomiciare in certe zone della Sicilia orientale.

A proposito: e nel catanese? Ebbene, nei pressi dell’Etna abbissàri si capovolge per uso e intenzioni dei parlanti, e indica addirittura l’atto del mettere in ordine, dell’aggiustare, nonché pertanto del risolvere un problema. Se, quindi, sentirete qualcuno della Piana sostenere di avere abbissàto l’anno ormai concluso, non stupitevi: non l’ha appena distrutto con qualche strano marchingegno, ma solo sistemato, archiviato, tolto di torno come si è proprio meritato.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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