Cosa fate, di solito, quando avete davvero bisogno di trovare quell’oggetto, ma nella borsa o nella stanza in cui lo state cercando non si decide a saltare fuori? E se, invece, vi capita di voler sondare il terreno con una persona su un determinato argomento e insistete e insistete finché non riuscite a saperne di più?

Se foste in Sicilia, le due azioni rientrerebbero nella definizione dello stesso verbo: scaliàri. Probabilmente starete pensando che ci troviamo davanti al corrispettivo di indagare, ma non è così. Di sindacare? Neppure. E nemmeno di cercare avidamente, anche se effettivamente il campo semantico si direbbe press’a poco lo stesso.

In realtà, a essere precisi scaliàri viene dalla parola greca σχαλέω o σχαλίζω (schaléo, schalìzo), che significa zappare, ma anche grattare con le unghie. Come mai una pratica contadina appare accanto all’abitudine di chi gioca d’azzardo al tabaccaio?

Ebbene, il fatto è che il termine in senso proprio equivaleva appunto a dissodare la terra, ma contemporaneamente serviva anche da similitudine per descrivere il razzolare dei polli o delle galline, quando allargano il terreno per cercare qualcosa senza spingersi troppo in profondità.

Ecco perché, con il passare dei secoli, ha indicato via via anche l’azione di zappare superficialmente, e infine quella di rovistare con le dita. Così, in dialetto siciliano, il lemma oggi è sinonimo di frugare, o meglio ancora di aggirarsi per casa spostando e muovendo oggetti da un posto a un altro, come quando si è in cerca di qualcosa.

Una definizione che, tramandandosi di generazione in generazione, ha finito per interessare sia le persone curiose, che vogliono sapere quanti più dettagli possibili su un tema, sia chi in frigo vorrebbe accaparrarsi a tutti i costi l’ultima fetta di torta nascosta sotto strati di verdure al vapore…

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