Chi ha visitato la Sicilia nel secolo scorso non può non averla notata: una crostatina dal colore insolito, piccola ma ghiotta, sormontata da una ciliegina candita e venduta nei bar, nelle pasticcerie, a volte proposta perfino come dessert al ristorante…

Parliamo della cucuzzàta, una ricetta tipica della regione che però, al giorno d’oggi, sembra essere stata quasi dimenticata. A differenza di antichi dolci come la cassata o come lo stesso cannolo, infatti, negli ultimi anni la cucuzzàta pare abbia gradualmente abbandonato le vetrine dei centri urbani, pur sopravvivendo nei ricordi di tante generazioni ed essendo di tanto in tanto menzionata anche da chi, in passato, amava fare un salto nella Trinacria per gustarne una porzione.

Parliamo, dopotutto, di un dolce tanto semplice quanto originale, che si diffuse dalle nostre parti intorno all’Ottocento, quando veniva preparata nei conventi a uso esclusivo dei monaci, prendendo spunto da un dessert inglese denominato Queen Mary’s Tart e creato in onore di Maria Stuarda. Trattandosi di un piatto gustoso e al tempo stesso semplice da preparare, avendo come ingredienti principali giusto la pasta frolla e la confettura, la cucuzzàta si diffuse ben presto fra la popolazione e arrivò a riempire le tavole di nobili, borghesi e contadini.

Quanto alla sua denominazione, così diversa dall’originale, il motivo è presto detto: in Sicilia si decise sempre più spesso di cucinarla basandosi su una confettura di zucchine verdi, forse insolita in altre parti d’Italia ma particolarmente gradita e consueta al Sud, che era conosciuta proprio con il nome di cucuzzàta – a sua volta derivata da cucùzza, che è l’equivalente dialettale di zucca e zucchina.

La variante sicula, insomma, mantiene ben pochi elementi dell’idea di partenza, sostituendo peraltro lo strutto al burro, almeno inizialmente. Ne conserva però la fragranza, la presentazione elegante ed essenziale, e in particolare il piacere di condividere a fine pasto un boccone appetitoso, che magari un domani potrebbe tornare a riempire le nostre tavole e i nostri vassoi…

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