Ci sono casi in cui le espressioni del nostro viso riescono a dire più di mille parole: accade così quando ci arrabbiamo, quando siamo felici e, soprattutto, quando non siamo in grado di trattenere lo stupore, e le nostre pupille iniziano visibilmente a dilatarsi.

Manifestare la propria sorpresa attraverso lo sguardo, d’altronde, è un’abitudine comune a diverse culture del mondo già da secoli, come accade ancora oggi anche in Sicilia – una ragione particolarmente avvezza a comunicare con il proprio interlocutore attraverso la mimica facciale, o più in generale il linguaggio del corpo.

Non è un caso, pertanto, che nel dialetto della Trinacria esista un aggettivo con cui si definisce proprio ciò che è aperto, anzi di più, spalancato, proprio come gli occhi di chi non riesce a credere alle proprie orecchie: ci riferiamo a scasàtu, da non confondere con il più comune scassàtu (ovvero rotto), che serve proprio a esprimere una reazione di incredulità.

In questo caso, infatti, l’etimologia è di tutt’altra natura ed è associata al verbo italiano scasare, cioè rimuovere, dislocare, nel senso metaforico di allontanare dal proprio domicilio di pertinenza. Un po’ come accade a chi deve sloggiare, andare via da un luogo, ma con una sfumatura che nella Trinacria cambia leggermente.

Perché, nel caso del lemma dialettale, a uscire dalla loro dimora, e in particolare dalle orbite, sono proprio gli occhi di chi è meravigliato, in un’accezione traslata del termine italiano che risulta tanto affascinante quanto difficile da comprendere per chi non ha familiarità con la lingua del posto.

Una di quelle circostanze, insomma, in cui apprendere una notizia impensabile e collegare fra loro due elementi che credevamo distanti – o addirittura estranei – fra di loro ci lascia davvero a bocca aperta, o meglio, ccu l’òcchi scasàti.

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