La sua etimologia è spesso associata alla voce latina excanto, traducibile in italiano con la locuzione attirare a sé con degli incantesimi. Se, però, fra i due idiomi sembra esserci una grande somiglianza a livello fonetico, altrettanto non può dirsi del loro significato. Ecco perché qualcuno ha avanzato un’altra ipotesi filologica
In siciliano esiste un termine per indicare la sensazione di essere stati appena colpiti da una paura improvvisa. Si tratta del sostantivo scàntu, che indica per l’appunto uno spavento suscitato da un evento impossibile da prevedere, e che spesso fa il pari all’espressione verbale Scantài!, cioè Mi è preso un colpo! Si può utilizzare parimenti il passato remoto del verbo riflessivo anche alla seconda persona singolare sotto forma di domanda, per chiedere a qualcuno se effettivamente sia sobbalzato per qualche motivo: Scantàsti?
L’etimologia di questa parola è stata spesso associata alla voce latina excanto, traducibile in italiano con la locuzione attirare a sé con degli incantesimi. Se, però, fra i due idiomi sembra esserci una grande somiglianza a livello fonetico, altrettanto non può dirsi del loro significato, dato che nella Trinacria lo scàntu non ha niente a che vedere con la magia.
Per tale ragione si è pensato negli anni a una strada linguistica alternativa, la quale stavolta affonda le proprie radici nella cultura dell’antica Grecia. All’epoca, infatti, è stato registrato l’uso del vocabolo scandalon, corrispondente all’italiano scandalo ma associabile anche all’effetto psicologico sortito da un gesto o da un’azione di carattere repentino.
Nel caso in cui fosse così, oltre alla vicinanza sonora si riuscirebbe a rintracciare anche una sovrapposizione quasi esatta a livello concettuale, che dunque ha suscitato un dibattito interessante e non ancora concluso. Al di là della diatriba filologica, vale comunque la pena notare che oltre allo scàntu subitaneo il dialetto siculo non ha un altro modo di descrivere la paura in quanto stato d’animo di durata prolungata e nato non per forza in maniera brusca.
Deve dunque prenderlo in prestito dall’italiano, aggiungendo in alcune aree geografiche una g intervocalica che trasforma il termine in pagùra: che si tratti di un popolo troppo temerario per avere la necessità di coniare una parola specifica per questo sentimento?