Per essere compresa, la pittoresca espressione esprimente un’equivalenza tra due cose apparentemente dissimili, necessita di una certa familiarità con la valuta che iniziò a circolare nell’area di Milano intorno al XII secolo grazie all’imperatore Enrico VI

Vi è mai capitato di pensare che elementi apparentemente diversi fra loro in realtà si equivalessero? Un po’ come quando, da ragazzini, cercavano di fregarci chiedendoci se pesasse di più un chilo di piombo o un chilo di paglia e noi, troppo concentrati sui materiali per soffermarci sulle quantità, rispondevamo d’istinto «Un chilo di piombo!», rendendoci conto della gaffe neanche un secondo più tardi.

Ebbene, in siciliano esiste una maniera insolita per esprimere questo concetto con un’espressione che prende spunto dalla vita quotidiana d’altri tempi. Parliamo del detto sunu diciannovi soddi cu nà lira, che per essere capito al giorno d’oggi richiede forse una breve glossa esplicativa. Con “soldo”, infatti, all’epoca si intendeva una vera e propria valuta, più nello specifico una moneta d’argento che iniziò a circolare nell’area di Milano intorno al XII secolo grazie all’imperatore Enrico VI.

Il suo peso era di circa 1,25 g e il suo nome derivava dal latino, ancora lingua ufficiale nel Sacro Romano Impero Germanico. Il solidus aveva di per sé una storia ancora più antica, essendo stato coniato in oro da Costantino I fra il 309 e il 310 d.C. e utilizzato nell’Impero Romano d’Oriente fino al X secolo per rimpiazzare il più delle volte l’aureo, cioè l’altra moneta d’oro fino a quel momento più diffusa nel bacino Mediterraneo.

Se dai fasti di Roma il soldo prende il nome, il suo valore proviene invece probabilmente dall’omonima valuta di origine carolingia, anch’essa in argento come il soldo germanico e che corrispondeva alla ventesima parte di una lira. Così si spiegherebbe dunque il sintagma siciliano ancora in uso, che indica quindi la vicinanza approssimativa tra l’essere in possesso di diciannove soldi invece dei venti che occorrono per una lira intera.

Una curiosità: il medesimo riferimento monetario è valido anche per un secondo sintagma divenuto proverbiale. A differenza del precedente non costituisce una peculiarità solo sicula, essendo conosciuto nell’intera penisola italiana fin dall’antichità. Si tratta del detto mancare diciannove soldi a una lira, cioè essere povero in canna o essere sempre manchevole di qualcosa per raggiungere un determinato obiettivo.

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