Spesso, in Sicilia e non solo, capita che una voce dialettale priva di un esatto corrispettivo in lingua italiana risulti oscura a chi la scopre per la prima volta, magari lontana dal proprio immaginario, muta nei suoi significati più evocativi.

Probabilmente, invece, non è così con il termine taliàri, che anche solo di traverso è arrivato nelle case di molti italiani grazie all’uso che ne ha fatto per anni Andrea Camilleri nei suoi romanzi, poi trasposti anche nella fortunata serie di Rai 1.

Certo, per lo più è il contesto a spiegare la parola, dato che lo scrittore agrigentino non si dilunga in descrizioni o spiegazioni della sua lingua personale, ma nel caso del verbo in questione è facile immaginare dopo qualche pagina che l’affinità semantica sia con le voci italiane guardare, osservare, fissare. E, limitandoci a una traduzione in senso stretto, potremmo pure confermarlo.

L’azione del taliàri, però, in realtà non si limita a questo: una persona che talìa concentra tutta la propria attenzione nello sguardo, nell’atto di contemplare qualunque oggetto o soggetto ci sia davanti a sé. Non è semplicemente concentrata, ma è assorta, assorbita in modo totale da quanto vedono i suoi occhi. Esiste quindi un punto di contatto con il lemma addunàrisi, di cui avevamo già parlato e che per sommi capi vuol dire accorgersi, non farsi sfuggire qualcosa.

E tuttavia nel mondo evocativo di taliàri c’è di più, come ci suggerisce già la sua etimologia. Il termine deriverebbe infatti non tanto dalla radice sanscrita tal (guardare), come alcuni hanno ipotizzato, quanto piuttosto dall’arabo طَلِيعَة (ṭalīʿa), cioè torre di vedetta, avanguardia, diffusosi nell’isola attraverso la probabile mediazione del catalano talaiar/atalaiar. Non per niente se ne trovano tracce anche nel galiziano (atalaia) e in castigliano (atalaya), come fa notare Salvatore Baiamonte su Cademia siciliana.

Ecco allora che si capisce fino in fondo la natura di questo verbo: chi talìa in Sicilia è come una vedetta, concentrato e indistraibile. Può taliàri un bambino che muove i primi passi, un cane che rincorre le onde del mare sulla spiaggia, ma anche un nemico acerrimo che non vuole assolutamente perdere di vista o la persona di cui si è invaghito e da cui non riesce a distogliere uno sguardo incantato. Si talìa per diverse finalità, insomma, ma senza che l’atto del guardare fisso, dell’osservare totalizzante perda mai il suo potere ammaliatore.

Quando nella Trinacria si sta talìando qualcuno o qualcosa, in altre parole, è proprio vero che tutto il resto non conta!

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