I cinesi sono avanti. Sono così avanti che già nel 300 a.C, secondo una ricorrenza leggendaria, avevano inventato qualcosa di molto simile al simbolo culinario della Sicilia, senza ricordarsi di friggerlo

Il 18 giugno 2018, quinto giorno del quinto mese secondo il calendario lunare, cade la “Festa delle Barche Drago”. Leggenda narra che il poeta Qu Yuan, straziato dal dolore a causa della sconfitta per mano del re di Qin, decise di suicidarsi nel fiume. I pescatori, per evitare che i pesci mangiassero il corpo del defunto Qu Yuan, lanciarono cibo in acqua e si precipitarono con canoe lunghe e strette – dette barche drago – alla ricerca del corpo. Da allora durante la commemorazione di Qu Yuan si è soliti organizzare gare con le barche drago e soprattutto mangiare “zongzi”: piramidi di riso glutinoso avvolto in foglie di bambù, legati con un filo e cotti al vapore. Ancora oggi mi chiedo se sia stato più traumatico scoprire il ripieno o sapere che in Cina esista una variante degli arancini.

Immaginate il Natale, leggermente più in grande. Un miliardo di cinesi in giro per la Cina a far festa, famiglie riunite in pic-nic lungo il fiume, amici e parenti sulle sponde a far il tifo per questa o quell’altra barca, tamburi dal ritmo veloce e ipnotico a tenere il tempo. Gli studenti universitari, rimasti nel campus causa studio, pronti per condividere l’esperienza della preparazione del piatto tipico: gli “arancini”. L’occasione era perfetta per invitare quei pochi stranieri rimasti lì – io e il mio collega Fabrizio – e così ti ritrovi a destreggiati nella millenaria arte culinaria cinese.

Una catanese, un palermitano e un cinese è l’inizio di una bellissima barzelletta multiculturale che tra uno scatto, una battuta e la preparazione di questo piatto dolce e salato, si azzuffavano per avere la meglio su come chiamarli.

I cinesi hanno vinto. La loro festa e il piatto tipico tramandato da generazioni hanno avuto la meglio, giocavano in casa. La diatriba tra “arancino” e “arancina” resta.

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