Da buco a piercing
con l’aiuto dei Romani: purtùsu, una parola
e tante sfumature

Entrato nei vari volgari dal latino, il termine dialettale, oltre che portatore di diversi significati a seconda dell’area geografica e del contesto linguistico di utilizzo, ha conosciuto una diffusione notevole anche Oltremanica

Ci è già capitato di scoprire parole dialettali fortemente polisemiche: uno fra tutti il record del verbo appizzare, che abbiamo scoperto avere tre etimologie diverse e ben sei significati distinti. Oggi ne scopriamo un altro piuttosto interessante, ovvero il sostantivo pirtùsu, purtùsu o puttùsu, in base all’area geografica di utilizzo, che può essere genericamente tradotto in italiano come “buco”, ma le cui sfumature vanno ben al di là di questa definizione.

La sua origine sarebbe da ricondurre alla lingua latina, nella quale il participio pertūsus (da pertundere, cioè “bucare”) si diffuse in maniera via via maggiore anche come sostantivo. Da qui si svilupparono le varianti pertuso nel volgare del 1300, da cui deriva l’attuale forma pertugio, e alcune di matrice dialettale, in particolare nel centro-sud e in certe zone del Piemonte e della Liguria. Oltralpe, invece, la parola portò alla formazione del verbo francese percer, “perforare”.

Come già visto, in Sicilia arrivò sottoforma di nome comune, ma anche di verbo: pirtusiàri, nelle sue varianti territoriali, ha infatti la stessa radice di percer, che grazie alle popolazioni normanne arrivò anche nell’antica Inghilterra, generando la forma verbale to pierce. Avete capito bene: l’attuale piercing dovrebbe la sua definizione agli antichi Romani! Dopotutto, un’usanza simile a quella in voga oggi era comune nella nostra isola già secoli orsono, quando alle bambine si applicavano i perciarìcchi (lett. “buca orecchie”).

E non è tutto qui, dato che il purtùsu ha diverse sfumature in base alla frase idiomatica in cui appare: fari pirtùsu, per esempio, significa fare fortuna, mentre fari un pirtùsu è sinonimo di indebitarsi; a puttùsu fattu vuol dire “a cosa fatta”, vìnniri pi purtùsu significa vendere qualcosa per poco, e addirittura esiste l’espressione i paròli nun fannu pirtùsa, cioè le parole non arrecano gravi danni. Impurtusàtu, invece, è una persona o un oggetto costretto in uno spazio molto piccolo, e stando al dialetto bisogna fare molta attenzione (metaforica e non) a camminare in città d’inverno, perché è a la squagghiàta di la nivi chi si vìdinu li pirtùsi.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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