“Goblin mode”, la parola dell’anno per gli inglesi e il suo equivalente in siciliano

Sembrava impossibile, ma ce l’abbiamo fatta: noi che viviamo in pantofole, noi che ci pettiniamo solo se dobbiamo uscire dieci minuti dopo, noi con la coperta a quadretti e i pigiamoni sempre addosso, siamo stati dignificati dalla parola dell’anno scelta per il 2022 dalla Oxford University Press. Rimessa al voto popolare fra diverse alternative per la prima volta, l’espressione che riflette l’ethos, l’umore o le preoccupazioni degli ultimi dodici mesi selezionata da oltre 300mila anglofoni è stata infatti la locuzione goblin mode, uno slang che di recente è diventato virale sui social network e che viene definito come «un tipo di comportamento impenitentemente autoindulgente, pigro, sciatto o avido, tipicamente in un modo che rifiuta le norme o le aspettative sociali», in contrasto quindi con il tanto decantato ritorno alla normalità postpandemico di cui si sente parlare dappertutto.

Controcorrente, verdognoli e spaparanzati davanti alla tv, senza nessuna voglia di metterci in tiro. Insomma, una reazione alle pressioni di perfezione provenienti dai social

Un po’ come se, mentre fuori arriva il Natale, ci scoprissimo tutti dei Grinch. Controcorrente, verdognoli e spaparanzati davanti alla tv, senza nessuna voglia di metterci in tiro, di stare in una piazza gremita di gente o di partecipare a un evento collettivo. Ma anche – e soprattutto – stanchi di apparire sempre al top nelle stories su Instagram, di truccarci prima di girare un TikTok, di postare su Facebook la foto di uno spuntino sano dopo aver fatto fuori due pacchi e mezzo di patatine. Si tratta, insomma, di una reazione quasi inevitabile alle pressioni di perfezione che arrivano dal Web e alla necessità di rispettare orari, etichette e consuetudini nel mondo reale, ovvero di una piccola grande rivoluzione comportamentale che potrebbe portare a una nuova percezione di sé, a un processo più pacifico di autoaccettazione e perfino a un pizzico di sana autoironia, con cui condire le nostre sedute dallo psicologo, i meme che creiamo prima di dormire e le playlist che ascoltiamo mentre ci tratteniamo nella doccia più del previsto.

D’altronde, per chi non lo sapesse, i goblin sono creature a dir poco affascinanti. Con i Grinch condividono forse il colore dell’incarnato e qualche buffa smorfia, ma per il resto ci troviamo davanti a degli esseri piccoli e intelligenti, che nel mondo fantasy vivono spesso nelle caverne e sono noti per la loro predisposizione a fare i dispetti al prossimo. Ponendo così la questione, chi non si riconoscerebbe almeno in parte in uno di loro? Certo, in alcuni filoni di questo genere letterario e cinematografico hanno assunto un aspetto più inquietante e malvagio, ma nel riflettere lo stato d’animo da cui oggi ci sentiamo pervasi si limitano a incarnare la nostra pigrizia temporanea, il nostro desiderio di concederci qualche sgarro dalla norma senza essere giudicati male. Un dilemma fra essere e apparire di cui nella nostra cultura si parla da sempre, a partire dai poemi di Omero e dalle sentenze di Seneca fino ad arrivare a Søren Kierkegaard, Oscar Wilde, Erich Fromm e Luigi Pirandello.

L’unica presenza dei goblin nel nostro Paese è attestata nel folklore siciliano. Un’occasione per prendere in prestito un termine dialettale per colmare un vuoto linguistico

Il goblin mode che è ormai un hashtag popolarissimo su Twitter, perciò, le società occidentali a quanto pare lo conoscevano già da tempo. E ora che grazie a Oxford è diventato sinonimo di cura di sé, di binge watching e di orgogliosa inattività domestica, è il momento di trovargli un degno corrispettivo anche in lingua italiana. Perché, se ci pensate, nei nostri dizionari non esiste ancora un lemma capace di descrivere la tendenza ad abbracciare la creatura mostruosa e indolente che ci portiamo dentro, assecondando il suo disordinato bisogno di relax. E se consideriamo che l’unica presenza della figura del goblin nel nostro Paese è attestata nel folklore siciliano – si veda per esempio Gervasio di Tilbury, secondo il quale la pianura etnea era conosciuta come la Val Demone, per via dei numerosi goblin che la popolavano –, non sarebbe poi tanto assurdo prendere in prestito proprio un termine del dialetto siculo per colmare questo vuoto. Noi proporremmo lagnusìa o stinnìcchiu, due parole a metà fra l’indolenza e il malumore, ma si accettano suggerimenti e alternative…

About Author /

Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

Start typing and press Enter to search