Una ricetta povera che dalle strade palermitane arriva fino alle tavole dei ristoranti, conquistando palati di ogni genere. Si tratta dei tipici quadrati fritti del palermitano la cui storia potrebbe risalire a più di mille anni fa

Si racconta che siano stati gli Arabi, dominatori dell’isola tra il IX e l’XI secolo, i primi a macinare i ceci ottenendo una farina da miscelare con acqua, al fine di ricavarne una sorta di polenta. La tradizione è incerta su chi per primo abbia pensato di trasformarla in quadrati da immergere nell’olio bollente, rendendo ancora più gustoso il primordiale impasto. Nascono così le panelle: un piatto povero che, come tutti i cibi fritti, conquista siciliani e non solo. In giro per Palermo le si trova, oltretutto, sia come cibo di strada che come antipasto nei ristoranti.

Queste sottili frittelle dorate a base di farina di ceci, acqua, prezzemolo, sale e pepe, possono essere gustate calde con qualche goccia di succo di limone o come farcitura di panini ricoperti di sesamo (di solito mafalde): il famoso “pani chi panelli” (pane con panelle).

Associata alle panelle è l’iconica figura del “panellaro”, che ancora oggi gira per le strade di Palermo. Abbandonato il tipico carretto in favore di una più moderna moto ape (“lapa” in dialetto) e attrezzato di fornello e pentolone, prepara l’amato street food per isolani affamati e curiosi turisti. Una figura così tipica del capoluogo siciliano da fare la sua comparsa persino in letteratura. Così lo descrive Leonardo Sciascia all’inizio de Il giorno della civetta: «Un carabiniere fu mandato di corsa ad acchiappare il panellaro: sapeva dove trovarlo, che di solito, dopo la partenza del primo autobus, andava a vendere le panelle calde nell’atrio delle scuole elementari».

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