La formula, che in italiano equivale pressappoco a vostra signoria mi benedica davanti a Dio, indica il rispetto nutrito nei confronti del proprio interlocutore. Ma da dove proviene questa accoglienza dai toni così spiccatamente religiosi?

Se vi è capitato di parlare con i vostri nonni o bisnonni, o se avete qualche ricordo personale risalente alla Sicilia fino agli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, certamente conoscete il saluto per eccellenza, il più ossequioso da rivolgere a chiunque, e che spesso si rivolgeva perfino agli estranei incrociati per strada o nelle campagne. Parliamo di Sabbinidìca, diffuso anche nelle varianti Assabbinidìca, Sabbinirìca, Sabbenerìca, precedute talvolta da Vossia o da Voscenza. In italiano si tratterebbe di una formula traducibile con vostra signoria mi benedica davanti a Dio, a indicare il rispetto nutrito nei confronti del proprio interlocutore.

Di fronte a tanta riverenza, rivolta non a caso anche ad autorità o a persone anziane, la risposta poteva essere di vario tipo. Alcuni preferivano limitarsi a un Santu (Santo), altri a Binidittu (Benedetto), altri dicevano invece Santu e riccu (Santo e ricco), Santu e riccu nzinu a Pasqua (Santo e ricco fino a Pasqua), Santu, riccu e ccu bonu distinu (Santo, ricco e fortunato) o anche Binidittu Iddiu (Benedetto Iddio). Ciascuna a modo suo era una maniera di ricambiare la cortesia, augurando ogni bene alla presenza del Signore. Ma da dove deriva questa formula di benvenuto e di congedo dal carattere religioso e formale a un tempo?

Stando ad alcune ipotesi, tuttora da confermare, possibile sarebbe un’etimologia legata a un’espressione tipica della lingua araba e arrivata sull’isola durante l’Emirato di Sicilia: As-Salam alaikum wa rahmatu Llahi wa barakatuhu, che in italiano equivarrebbe pressappoco a Su di voi la pace, la misericordia di Dio e la Sua benedizione, e che ha addirittura un corrispettivo in dialetto, ovvero A tìa l’abbentu dô Signuri, e ca iddu si pigghiassi cura di tia. L’assonanza fra le prime parole dell’omaggio verbale in lingua semitica e quelle in siciliano fa pensare in effetti a un legame comune, che ancora una volta confermerebbe la storia multiculturale e affascinante della Trinacria.

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