“Sceccu”, l’origine
dell’ignoranza siciliana
tra etimologia e leggenda

In Sicilia, se non si è persone di cultura, se si ha poco senso critico o se si è particolarmente creduloni, non si è ignoranti: si è scecchi. È così che si rimbrottano fra loro i bambini, o che si commenta ironicamente la performance di uno studente, e per sceccu si può essere presi durante certe tavolate festive che vedono riunirsi intere generazioni di parenti con le idee molto diverse fra loro.

Questo aggettivo, infatti, è associato al concetto di stupidità e allo stesso tempo sinonimo dialettale di «asino», replicando l’associazione tra la stoltezza e il carattere dei muli che esiste anche in lingua italiana. Ma da dove deriva, nel caso della Trinacria, la commistione fra la sciccaggini e gli animali da soma?

L’origine etimologia è alquanto incerta, dal momento che varie somiglianze sono state trovate con il greco ίκκος (iccos), l’armeno իշակ (ishak), il russo ишак (ìšak) e il turco eşek. Ben più definita e ricca è, invece, l’origine leggendaria del termine, legata addirittura a due diverse leggende.

Secondo la prima, quando la figlia del re arabo Amir al-Mu’minin, noto anche come Miramolino, si innamorò di un siciliano e chiese al padre maggiore clemenza verso il popolo da loro colonizzato, questi concesse agli isolani alcune libertà, ma non gli permise più di cavalcare i cavalli.

In molti allora si misero d’accordo per avvelenare i cavalli presenti sul posto e impedire di montarli anche agli arabi, che provarono a portarne di nuovi via mare ma che videro naufragare tutte le navi, tranne quelle con a bordo degli asini. Gli sceicchi dovettero così accontentarsi di salire in groppa ai muli e, per assonanza, vennero presi in giro dalla popolazione e appellati proprio scecchi.

Stando alla seconda leggenda, invece, la parola si sarebbe diffusa dopo il dispaccio reale emanato nel 1469 dal viceré spagnolo Giovanni I d’Aragona, che vietò a nobili e borghesi di cavalcare gli asini, riservando il loro uso solo ai ceti più poveri della società e obbligando gli altri a preferire i più nobili cavalli.

Di conseguenza, uno sceccu sarebbe diventato sinonimo di povero diavolo, di stolto, proprio perché erano le classi popolari a restare spesso analfabete. Quale che sia la verità, il lemma ha resistito alla prova del tempo e resta oggi largamente usato in tutta la Sicilia, portando con sé un ricco bagaglio di storie folkloriche e di teorie linguistiche.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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