Di sicuro il suo significato lo riuscite a intuire anche se non avete molta dimestichezza con il dialetto siciliano. La sua origine, però, pur sembrando assimilabile a quella del termine italiano pazzia, ha una storia completamente diversa

In Sicilia, si sa, il divertimento è sempre di casa. La terra che ha dato i natali a Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Andrea Camilleri e Giovanni Verga è infatti intrisa di una profonda nostalgia collettiva, che va però di pari passo con una leggerezza dell’esistenza quasi fanciullesca, capace di ridere perfino dei tratti più terribili di sé stessa. Per tale ragione, in dialetto non mancano le espressioni legate al buonumore, come abbiamo già visto nel caso di avìri ‘a liscìa e avìri addènzia. Cavalcando la cresta di quest’onda, andiamo oggi alla scoperta di una parola appartenente allo stesso campo semantico, e che non è priva di sorprese.

Ci riferiamo al verbo pazziàri (o pazzià), che è comune non solo a svariate aree della Trinacria, ma anche ad alcune zone di altre regioni italiane meridionali, come ad esempio quella del napoletano. Il suo significato è presto detto: pazzìari è sinonimo di divertirsi, lasciarsi andare, diventare trascinante con la propria allegria. È una forma di babbìo all’ennesima potenza, stimolata dalla buona compagnia e da uno stato d’animo privo di preoccupazioni di sorta. La sua etimologia, però, pur sembrando assimilabile a quella del termine italiano pazzia, ha una storia completamente diversa.

Se, infatti, il sostantivo italiano proviene dal latino patior (soffrire), derivato a sua volta dal greco pàthos (ovvero forte passione, dolore, infermità corporale o mentale), la voce dialettale è da fare risalire invece all’antico verbo greco pàizo, la cui radice è la medesima del sostantivo paìs-paidòs, cioè fanciullo. Pazziàri, quindi, non vuol dire agire come un matto, quanto piuttosto comportarsi alla pari di un ragazzino poco assennato, che talvolta abbandona la serietà dimostrando un atteggiamento spensierato e faceto. Una burla nella burla, insomma, che ancora una volta la dice lunga sul carattere spassoso del siciliano e dei suoi abitanti.

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