“Spantasiàri”, il verbo goliardico di cui è meglio non abbondare

Ci sono dei giorni in cui l’unica cosa di cui si avrebbe bisogno è staccare la spina, raggiungere un luogo silenzioso e naturale e chiudere gli occhi. Per distrarsi, per liberare la mente, per ricaricare le batterie. In una parola, per spantasiàri.

Se non siete mai stati in Sicilia, o se non avete familiarità con il suo dialetto, è probabile che non abbiate mai sentito parlare di questa parola, finora forse poco nota al di là dello Stretto, ma che viviate o meno da quelle parti potrebbe tornarvi utile per esprimere un concetto elaborato e fondamentale, specie dopo il rientro dalle ferie estive o a ridosso di una scadenza importante che mette particolarmente sotto pressione.

Questo verbo, infatti, del quale esiste anche la variante sfantasiàri, in base alla zona di provenienza, è un derivato della parola fantasia, davanti a cui è stato poi aggiunto il prefisso rafforzativo s-. Si tratterebbe, insomma, di un viaggio nell’immaginazione al quadrato, di una forte tendenza a fantasticare più del dovuto, che potremmo quindi tradurre poeticamente con l’espressione italiana uscir di fantasia.

A inserirla per la prima volta in un glossario pare sia stato il poliedrico Giuseppe Pitrè, letterato, medico ed etnologo palermitano, anche se non tutti sanno che spantasiàri per estensione ha acquisito nel corso del tempo ben altri significati, arrivando a descrivere l’azione di perdere la fantasia, nel senso di far mulinare vorticosamente i pensieri, di esagerare con le proiezioni mentali, fino quindi a scervellarsi.

Basta dunque un attimo per trasformare un termine ameno e goliardico, che non a caso nella Trinacria si sente usare spesso fra amici, o comunque in contesti piuttosto informali, nella descrizione di un vero e proprio logorìo interiore. Certo, spantasiàri non diventerà mai il corrispettivo di scattiàri, e cioè di uno scatto di follia più intenso e repentino, ma può ugualmente rivelarsi una bella gatta da pelare.

Meglio, quindi, cercare di spantasiàri – ovvero di distrarci piacevolmente – finché siamo ancora in tempo, prima di ritrovarci a… spantasiàri, sì, ma questa volta con un po’ meno divertimento all’orizzonte.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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