In Sicilia i problemi non vengono mai soli, al punto che è diventata proverbiale un’espressione del dialetto di cui ci siamo occupati tempo fa, ovvero quella che vede agire contemporaneamente i malandrini Criccu, Croccu e Manicu ‘i ciàscu.

E non finisce qui, dal momento che accanto a questo curioso trio, dalla storia tutt’altro che banale, ne esistono ben altri due a cui avevamo accennato: Iapìcu, Funciamòdda e su cugnatu (ovvero Iapìcu, forse un antico abitante dell’Apulia, Boccamolle e suo cognato) e soprattutto Trìulu, malanòva e scuntintìzza, che letteralmente potrebbe rendere con difficoltà, brutte notizie e malumore.

Proprio su uno di questi elementi ci concentriamo adesso, e più nello specifico sul primo, trìulu, che a prima vista si configura come un termine non facile da pronunciare e al tempo stesso dall’etimologia oscura. Basta, però, guardarlo con più attenzione per riconoscere in trìbbulu, una delle sue numerose varianti regionali, una vicinanza con il latino trìbulus, la stessa parola da cui deriva anche il sostantivo inglese trouble.

Anticamente, infatti, il tribulus dei Romani era una pianta delle Zigofillacee, ancora oggi conosciuta come Tribulus terrestris e che quando matura si suddivide in cinque cocchi spinosi. La definizione nasceva dall’unione di tri- (tre) e di -bolos (punta), motivo per cui capiamo come mai tribulus sia poi diventato il nome di un apparecchio di ferro a forma di palla, che aveva delle punte sporgenti con cui si cercava di arginare l’avanzata della cavalleria nemica in battaglia.

Quello che ancora oggi sopravvive in italiano come tribolo e che dà vita anche al verbo tribolare, insomma, potrebbe sembrare nella nostra lingua nazionale un termine desueto, spesso troppo aulico per essere usato nella parlata di ogni giorno, ma sopravvive nella Trinacria in associazione agli impedimenti e alle complessità della vita.

Non a caso è presente in altri modi di dire come ‘U trìulu insìgna a chiàgniri (it. Sono i problemi che ci insegnano a piangere) o come il colorito Spassu ‘i fora e trìulu ‘nda casa, riferito a chi fuori casa è per l’appunto uno spasso, mentre poi fra le mura domestiche crea non pochi fastidi a chiunque lo circondi.

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