L’autunno è la stagione di Halloween, delle festività in onore dei defunti e… delle zucche! Frutti di piante di tipologia diversa, sono infatti loro le compagne colorate di questo periodo dell’anno, che non a caso vengono cucinate secondo diverse ricette e utilizzate come elemento decorativo e rimando alla celebre leggenda popolare di Jack-o’-Lantern.

Per chi abita in Sicilia, però, non è necessario spostarsi oltreoceano per scoprirne le origini e qualche curiosità, dal momento che nella regione più a sud d’Italia la cosiddetta cucùzza ha davvero tanto da raccontare. La sua etimologia, innanzitutto, deriverebbe dal latino tardo cucutia, cioè zucca, che a sua volta proveniva dal sostantivo cucurbita, evoluzione del greco kùkuon o kukùiza. Oltre a indicare la zucca, però, in siciliano la cucùzza fa riferimento anche a una varietà di zucchina lunga e liscia che viene utilizzata per preparare la pasta con i taddi (o tenerumi) e di cui si sfrutta soprattutto la testa (parte del corpo che in siciliano, con un sinonimo, si chiama anch’essa cucùzza).

Dopodiché, al di fuori del mondo culinario, la cucùzza acquisisce una serie di interessanti significati metaforici. Testa ca nun parla si chiama cucùzza, recita per esempio un famoso proverbio siculo, a testimonianza del fatto che persone troppo taciturne sono associate a queste piante poiché considerate poco intelligenti. Cònzila comu voj, è sempri cucùzza, ci rammenta invece un modo di dire riferito al gusto poco sapido della zucca: la si può condire con qualsiasi spezia, ma rimarrà comunque tale e quale. Per traslazione, l’espressione allude anche all’immutabilità di caratteri umani e situazioni, che ben si coniuga con un certo fatalismo isolano di stampo verghiano.

Al plurale, infine, la cucùzza ci regala la regina delle sue sorprese semantiche. Se sentite dire che le cucùzze non bastano mai, infatti, non state parlando con una cuoca desiderosa di preparare una ricetta vegetale per venti persone, bensì con qualcuno che ha difficoltà a fare quadrare i conti a fine mese, dal momento che le cucùzze indicano proprio il denaro. Attenzione, quindi, al contesto d’uso di questa parola polisemica, che da un discorso all’altro assume sfumature molto diverse tra loro.

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