La sua doppia denominazione si spiega tenendo conto dell’ispirazione al frutto dell’arancio, ovvero la tonda e grossa arancia che ricorda per forma e dimensioni la specialità sicula. A prescindere dalla variante che si preferisce e dal condimento salato o dolce che si sceglie, comunque, le curiosità su questa prelibatezza non mancano di certo

Appetitosi, dai molteplici condimenti e famosi in tutto il mondo: sono i celeberrimi arancini, pietanza tipica della tradizione culinaria siciliana che da pochi giorni è entrata proprio nella forma del maschile plurale all’interno del prestigioso Oxford English Dictionary, a sancire un riconoscimento linguistico che finalmente va di pari passo con quello gastronomico. Chi, infatti, non ha mai assaggiato quello che la metà orientale dell’isola chiama arancìnu al maschile e la metà occidentale arancìna al femminile, scatenando una diatriba interna in corso ormai da tempo immemorabile?

La sua doppia denominazione si spiega tenendo conto dell’ispirazione al frutto dell’arancio, ovvero la tonda e grossa arancia che ricorda per forma e dimensioni la specialità sicula. Secondo alcuni, bisognerebbe quindi chiamarla arancìna come il frutto in questione, secondo altri sarebbe più opportuno mantenere arancìnu al maschile, come d’altronde accade in dialetto in molti altri casi di nomi di frutti. A prescindere dalla variante che si preferisce e dal condimento salato o dolce che si sceglie, le curiosità su questa prelibatezza non mancano di certo.

Una prima teoria, infatti, vorrebbe la sua nascita risalente al periodo della dominazione araba in Sicilia, occasione in cui le arance vennero tra l’altro importate nella regione e in cui si diffuse l’abitudine di consumare il riso e lo zafferano con l’accompagnamento di carni e spezie di vario genere. La sua panatura, però, per lo più si fa risalire al regno di Federico II di Svevia, quando portare con sé dei cibi durante la caccia richiedeva che non si sbriciolassero o sciogliessero facilmente.

Dal punto di vista etimologico, invece, il termine era già presente nel Vocabolario siciliano etimologico, italiano e latino di Michele Pasqualino edito a Palermo nel 1785, sebbene il suo primo uso letterario sia stato attestato nel 1894, all’interno del romanzo I Viceré pubblicato da Federico de Roberto, e si sia poi diffuso fino ad arrivare agli Arancini di Montalbano del compianto Andrea Camilleri. Altrettanto interessante è osservare, infine, che alle origini il suo condimento doveva essere soltanto dolce, mentre la sua forma conica nell’area del catanese si deve a un omaggio al vulcano Etna: tante peculiarità quanti sono i suoi secoli di storia composita e “gustosa”.

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