“Crastu”: quando la gastronomia siciliana diventa un appellativo negativo

Oggi andiamo alla scoperta di un vocabolo siciliano particolarmente peculiare. Al tempo stesso, infatti, è un tecnicismo culinario e una sorta di insulto, che però tale non è stato riconosciuto qualche anno fa da un giudice di Augusta

In cucina, tempo fa, questa parola indicava la carne ottenuta dalla macellazione del maschio della pecora castrato, ovvero il montone. Il crastu, tuttavia, ben presto ha smesso di essere un termine riferito solo all’ambito gastronomico e ha preso a indicare qualcosa di parecchio diverso. «Nun m’ha trattari comu ‘nu crastu», ammonirebbe per esempio un amico gabbato da un altro, e che abbia sentito venire meno il rispetto nei propri confronti. «E cchi sugnu, ‘nu crastu?», si lamenterebbe invece un dipendente sfruttato dal proprio datore di lavoro, intendendo anche in questa circostanza un individuo vessato e incapace di difendersi.

Il lemma sembra derivare dal greco antico, lingua in cui il sostantivo indicava in effetti il medesimo animale. Se riferito a un bambino, però, cambia lievemente di significato ed è da intendersi per lo più come vispo, biricchino, vivace. E non è tutto: quando viene utilizzato a mo’ di insulto, crastu vuol dire anche persona cocciuta, testa dura o nel peggiore dei casi furbastro, inteso come un truffatore o un mascalzone. Non stupisca dunque scoprire che nel 2012, nel comune siracusano di Augusta, un giudice di pace si sia trovato coinvolto in un caso di ingiuria e minaccia di cui era stato accusato un imputato per avere pronunciato proprio l’aggettivo in questione.

Il magistrato alla fine ha assolto l’uomo incriminato per insussistenza del fatto, sebbene dopo un ricorso la Corte di Cassazione abbia in realtà rilevato che il vocabolo siciliano avesse in sé gli estremi dell’ingiuria. Come si legge nella motivazione della sentenza, d’altronde, la parola ha un significato «che lascia intendere una “mala parte” o “azione” compiuta da un soggetto inaspettatamente e cioè da un soggetto che davanti a certe circostanze dice una cosa e poi si comporta diversamente per sottrarsi a responsabilità». Attenzione, quindi, all’uso che si fa di tale parola: il rischio di sfociare in un’offesa sgradita è serio.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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