A Catania durante la settimana di Sant’Agata, ovvero quella che comprende i giorni dal 3 al 6 febbraio, le vie della città diventano irriconoscibili: cibo di strada, luminarie, venditori di palloncini, coriandoli in anticipo e cera di grosse candele che riveste la pavimentazione in cemento, per non parlare naturalmente della processione vera e propria, con la sua musica, le sue frasi rituali, i suoi fuochi d’artificio e… la gente che ammùtta da tutte le parti.

Per la verità, i casi di persone pronte ad ammuttàrisi (o ad ammuttàrsi) non si limitano a cerimonie e feste consacrate, nel capoluogo etneo così come nel resto dell’isola, e sono facili a vedersi anche in contesti come quello del mercato cittadino, o di certe interminabili file presso gli uffici pubblici. Perché l’arte di ammuttàri, in Sicilia, è ormai una pratica consolidata e impossibile da sradicare.

Lo stesso autore Andrea Camilleri, fin dal romanzo La forma dell’acqua, ha utilizzato questa forma verbale nelle sue opere, integrandola nelle indagini di Montalbano quale pietra miliare della sicilianità: «Si avviarono verso il posto di lavoro ammuttando ognuno il proprio carrello», si legge infatti a pagina 12. Ma da dove deriva il termine e che cosa significa nello specifico?

Ebbene, il primo a registrarne per iscritto l’esistenza pare sia stato nel XX secolo Giorgio Piccitto, glottologo e lessicografo originario di Ragusa, poi diventato professore presso l’Università degli Studi di Catania. A suo dire, la parola corrispondeva all’italiano spingere, anche se a differenza della lingua nazionale il dialetto siculo esprime con ammuttàri un gesto eseguito spesso con nonchalance, quasi sovrappensiero, come se fosse parte integrante del trovarsi in un luogo aperto e affollato.

Un ammuttamèntu, detto diversamente, di rado accade per sbaglio. Né si compie con sgarbataggine o con l’intento di disturbare chi sta accanto a noi: piuttosto, si direbbe l’azione inevitabile di chi dovrà pur sgomitare un po’, e cercare di avanzare, nel momento in cui il passaggio sembra sbarrato, ostruito o anche solo complicato dalla presenza di un folto numero di persone.

Quanto alla sua etimologia, il lemma ammùttari, mmuttàri o mbuttàri (in base alla zona), più anticamente buttàri, verrebbe secondo alcuni dall’antico francese boter o bouter, cioè spintonare, colpire, spingere, inserire a forza, derivato a sua volta dalla radice franca bôtan. Secondo altri, invece, l’origine sarebbe più probabilmente latina, e si dovrebbe alla forma volgare imbottare, proveniente da butte (cioè botte) e ancora oggi presente nel dizionario italiano.

Che i singoli individui venissero spinti a forza gli uni contro gli altri, come quando si cerca di infilare un gran quantitativo di vino dentro lo stesso recipiente? O che la confusione di massa fosse associata alla gozzoviglia disordinata che di tanto in tanto trova un suo sinonimo proprio in imbottare? Quale che sia l’ipotesi più appropriata, i siciliani in quest’operazione restano maestri indiscussi…

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