I “purpicièddi muràti”, una ricetta siciliana “sigillata” fin da sempre

Dopo le ferie di agosto, specialmente per chi ha avuto l’occasione di trascorrere un soggiorno fuori regione, tornare in Sicilia per gustare i piatti tipici della propria terra è sempre un momento di grande emozione. Proprio come quello di chi, invece, in Sicilia arriva durante un viaggio e si ritrova a scoprire sapori e specialità gastronomiche di cui probabilmente non aveva mai sentito parlare.

Fra questi, senza dubbio figura un celebre secondo a base di pesce che la popolazione locale chiama per tradizione purpicièddi muràti: parliamo di polipetti in umido dal sapore particolarmente verace, che vengono preparati freschi in osterie, trattorie e perfino ristoranti di alto profilo, ma che a prescindere dalla loro presentazione sono capaci di conquistare il palato di chiunque li assaggi.

Dopotutto, si tratta di un piatto che non è facile preparare in casa in poco tempo, motivo per cui è ben più frequente ordinarlo quando si opta per un pasto all’aperto, magari in riva al mare o comunque in una zona famosa per il pesce fresco che viene comprato e venduto tutti i giorni da chi vive nel quartiere.

Ma da dove deriva un attributo così insolito per una prelibatezza così succulenta? Ebbene, stavolta siamo davanti a un aggettivo che, pur sembrando appartenere al dialetto siciliano, dobbiamo invece considerare nel suo significato italiano, cioè per l’appunto quello di chiuso fra quattro mura, di confinato.

Il motivo, all’apparenza insolito e poco comprensibile, in realtà è presto detto: la caratteristica principale dei purpicièddi tanto amati nella Trinacria, infatti, consiste nella loro cottura rigorosamente a coperchio chiuso, che li rende quindi un piatto da cucinare in una pentola da non aprire per nessuna ragione, almeno finché non è stata raggiunta la giusta cottura della pietanza.

Un procedimento che spesso interessa anche certi tagli di carne, denominati non per niente carni muràta, e che deriva dall’antica consuetudine di utilizzare addirittura un tegame di terracotta sigillato con la creta, per evitare che l’acqua di cottura evaporasse o che si disperdessero le sfumature di sapore di questa specialità, che ancora oggi sopravvive nei menù siciliani in tutta la sua “sigillata” bontà.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 2sicilianwordbanner.jpg

About Author /

Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

Start typing and press Enter to search