Dopo le ferie di agosto, specialmente per chi ha avuto l’occasione di trascorrere un soggiorno fuori regione, tornare in Sicilia per gustare i piatti tipici della propria terra è sempre un momento di grande emozione. Proprio come quello di chi, invece, in Sicilia arriva durante un viaggio e si ritrova a scoprire sapori e specialità gastronomiche di cui probabilmente non aveva mai sentito parlare.

Fra questi, senza dubbio figura un celebre secondo a base di pesce che la popolazione locale chiama per tradizione purpicièddi muràti: parliamo di polipetti in umido dal sapore particolarmente verace, che vengono preparati freschi in osterie, trattorie e perfino ristoranti di alto profilo, ma che a prescindere dalla loro presentazione sono capaci di conquistare il palato di chiunque li assaggi.

Dopotutto, si tratta di un piatto che non è facile preparare in casa in poco tempo, motivo per cui è ben più frequente ordinarlo quando si opta per un pasto all’aperto, magari in riva al mare o comunque in una zona famosa per il pesce fresco che viene comprato e venduto tutti i giorni da chi vive nel quartiere.

Ma da dove deriva un attributo così insolito per una prelibatezza così succulenta? Ebbene, stavolta siamo davanti a un aggettivo che, pur sembrando appartenere al dialetto siciliano, dobbiamo invece considerare nel suo significato italiano, cioè per l’appunto quello di chiuso fra quattro mura, di confinato.

Il motivo, all’apparenza insolito e poco comprensibile, in realtà è presto detto: la caratteristica principale dei purpicièddi tanto amati nella Trinacria, infatti, consiste nella loro cottura rigorosamente a coperchio chiuso, che li rende quindi un piatto da cucinare in una pentola da non aprire per nessuna ragione, almeno finché non è stata raggiunta la giusta cottura della pietanza.

Un procedimento che spesso interessa anche certi tagli di carne, denominati non per niente carni muràta, e che deriva dall’antica consuetudine di utilizzare addirittura un tegame di terracotta sigillato con la creta, per evitare che l’acqua di cottura evaporasse o che si disperdessero le sfumature di sapore di questa specialità, che ancora oggi sopravvive nei menù siciliani in tutta la sua “sigillata” bontà.

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