In Sicilia non è solo un piatto prelibato locale, e da un punto di vista linguistico la faccenda si fa ancora più interessante nel momento in cui si viene a scoprire che il nome dato a questo secondo tipico della dieta mediterranea è molto diverso da ciò che si potrebbe pensare

È una di quelle ricette che sono sempre più buone se preparate in casa anziché al ristorante. Dal nome che è tutto un programma e da un sapore inconfondibile, derivato da una fetta di carne arrotolata e riempita di lardo, uova sode, salame e formaggio. Cottura in stufato con salsa di pomodoro e il pranzo è servito. Parliamo del cosiddetto fàrsu màgru, fàssu magru o fassu màuru, diventato poi celebre anche in italiano come falso magro, dapprima in una variante dialettale e poi con una forma universalmente accettata e presente finanche nei più autorevoli manuali di cucina.

In Sicilia, però, va specificato subito che il falso magro non è solo un piatto prelibato della cucina locale. La sua idea di pietanza apparentemente semplice e leggera, ma che in realtà espone chi la mastica a un apporto calorico quasi inquantificabile, ha infatti ispirato un utilizzo traslato dell’espressione, che si applica soprattutto a persone in apparenza longilinee, eppure convinte di essere (o considerate dagli altri) piuttosto in “carne” – per restare in tema. Da qui, numerose sono le variazioni sul tema che si possono applicare con un pizzico di ironia: basta essere fantasiosi e ammiccanti, e storpiare l’espressione diventa un gioco da ragazzi.

Peraltro, le curiosità legate all’origine del sintagma dialettale in questione non sono mica finite qui, anzi. Da un punto di vista linguistico la faccenda si fa ancora più interessante nel momento in cui si viene a scoprire che il nome dato a questo secondo tipico della dieta mediterranea è molto diverso da ciò che si potrebbe pensare. Niente a che vedere con la sua natura ambigua fra consistenza esterna e sustanza, come si direbbe in dialetto, quanto piuttosto con un fenomeno linguistico noto come paretimologia, per il quale l’etimologia “popolare” di una parola non rispecchia la sua provenienza reale e si è affermata a fronte di una storia del termine diventata sempre più opaca.

Nel caso specifico, è stato Giovanni Ruffino a risalire a un probabile adattamento dal francese farce, aggettivo che in realtà significa ripieno. Com’è possibile che un simile ripieno sia considerato magro rimane poi un mistero ancora irrisolto, ma almeno lui non è falso come tutto il resto.

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