L’eterno dilemma dei catanesi: meglio “monfiàno” o “mammoriàno”?

Tempo fa avevamo parlato della storia del termine infrasciamàtu, introvabile nei dizionari di dialetto siciliano eppure molto usato nell’isola con il significato di sciatto, trasandato. Oggi ci addentriamo un po’ più a fondo nelle caratteristiche di alcune personalità tipiche soprattutto della città di Catania, ovvero i cosiddetti monfiàni e mammoriàni.

I primi prendono il nome da una storica traversa del centro storico, via Monfalcone, soprannominata “via Monfi” e non lontana dal corso Italia, che è considerato per antonomasia il salotto della città: lungo i suoi marciapiedi, in alcuni tratti alberati e costellati di ville in stile liberty, si possono trovare infatti boutique, pub sofisticati e altri negozi di alta moda.

Fin dagli anni Ottanta, chi viveva nel quartiere era solito riunirsi proprio nella stradina in questione, per passare i pomeriggi, chiacchierare e trascorrere il tempo in compagnia. Naturalmente si trattava di ragazzi provenienti da famiglie benestanti, che quindi si vestivano e si atteggiavano con una certa classe, non sempre vista di buon occhio da chi li osservava dall’esterno, ed etichettati quindi (chissà se a torto o a ragione) come dei figli di papà dall’aria un po’ snob.

A loro si contrapponevano spesso i mammoriàni, con i quali comunque i monfiàni interagivano non di rado: certo, non avevano un rapporto idilliaco, eppure si conoscevano a vicenda e spesso si confrontavano (non necessariamente in modi o con effetti pacifici) sulla loro visione del mondo. A differenza dei primi, infatti, i mammoriàni sono così chiamati per via della loro abitudine a giurare il vero sulla vita della loro madre (in dialetto m’ha mmòriri meo , cioè che muoia mia madre, se dico il falso).

Provenienti da ambienti meno chic e più popolari, questi ultimi vestivano spesso con uno stile diverso, definito da qualcuno più tamarro, e parlavano in un intercalare dialettale, posizionandosi in un orizzonte differente e di meno pretese. Va detto, tuttavia, che i mammoriàni sono stati spesso ritenuti naif, però buoni di cuore ed estroversi, nonostante i loro tentativi non sempre felici di fare conoscenza con le ragazze.

Oggi questi “tipi” si contaminano sempre di più a vicenda, amalgamandosi con nuove tendenze e con nuove mode virtuali e sociali, eppure la loro fama resta indiscussa nel capoluogo etneo e dà spesso vita a vecchi aneddoti o a nuove battute.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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