Chi vive a Palermo, o chi l’ha visitata almeno una volta nella vita, avrà sentito parlare della celebre Passeggiate delle cattive nei pressi del Foro Italico, che prima di essere rasa al suolo dai bombardamenti del 1943 era un’area della città in cui si riunivano le vedove. Da lì, infatti, avevano l’opportunità di passeggiare nel dentro storico o di soffermarsi ad ascoltare la musica e gli spettacoli che si tenevano al Foro, senza però potervi prendere parte più da vicino perché erano, per l’appunto, cattive.

Anche se questo aggettivo potrebbe sembrare sinonimo di maligne e perfide, in Sicilia lo status di vedova nulla aveva (né ha ancora oggi) a che fare con una percezione negativa delle donne rimaste senza marito. Il termine è piuttosto da collegare all’espressione latina captiva diaboli, cioè prigioniera del diavolo, nel senso che a causa dello zampino del demonio la donna in questione era sola e non poteva prendere parte alla vita pubblica e sociale a causa delle convenzioni dell’epoca.

C’è chi sostiene che questa prigionia si riferisca anche al vincolo di fedeltà giurato al coniuge, che non permetteva alle donne di risposarsi e le teneva quindi incatenate alla loro solitudine, mentre secondo altre teorie le captivae diaboli erano da intendersi come persone più facilmente preda delle tentazioni di Satana, perché esposte a tutta una serie di possibili desideri carnali a loro negati.

In tutte queste accezioni l’aggettivo sostantivato si è mantenuto in vita ed è stato tramandato fino a noi, arricchendo il dialetto di sfumature e di importanti segnali culturali, anche se talvolta viene tuttora scambiato nell’uso popolare per un appellativo di disprezzo nei confronti di chi, non avendo più un uomo pronto a rispondere per suo conto, si guarda intorno e si dedica più del dovuto al cuttìgghiu

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