Poniamo il caso che un amico vi abbia invitato a pranzo. Che vi abbia servito alcune delle vostre specialità sicule preferite, in abbondanza e con un buon vino di accompagnamento. E poniamo il caso che, a fine pasto, vi chieda come stiate, se abbiate apprezzato, se vi sentiate sazi.

Una maniera dialettale per rispondere evidenziando il vostro entusiasmo, la vostra soddisfazione e anche la sensazione di ebbra pienezza che provate esiste, ed è racchiusa nell’espressione M’arricriài. Si tratta di un verbo, qui coniugato alla prima persona del passato remoto, diffuso in particolare nel catanese, e che nel dizionario trovate alla voce arricriàrisi.

In altre zone della regione è possibile imbattersi in dei corrispettivi (più contestuali che strettamente semantici) come scialàrsi, tipico del palermitano e che in senso letterale significa ridere di gusto e, per estensione, divertirsi.

Ora, se è vero che scialàrsi si può quindi usare anche a tavola, è altrettanto vero che arricriàrisi ha invece una modalità d’uso più limitata, o se volete più specifica, motivo per cui è più raro sentirlo usare in altre situazioni linguistiche, se escludiamo eventuali hobby personali o grandi piaceri della vita, come un bel viaggio o un momento di intimità sotto le lenzuola.

E, se vi state chiedendo da dove derivi un verbo tanto espressivo ed efficace, la risposta è presto detta: si pensa che sia un’evoluzione dalla radice di ricreazione, cioè il verbo latino re-creare, che già a suo tempo era sinonimo di ristorare (o ristorarsi) fisicamente e moralmente.

Di conseguenza, un siciliano che afferma l’appagamento con cui ha portato a termine un’azione, usa una forma del passato compiuta e perfetta per sancire l’entità del suo benessere e per non lasciare spazio a dubbi di sorta: un momento di ricrìo (il sostantivo correlato al predicato arricriàrisi) è di serenità totale, di compiacimento generalizzato, che non lascia spazio a imperfezioni di sorta.

Ecco perché è l’ideale da usare con ogni bravo anfitrione, o anche solo quando si assaggiano un buon arancino (o arancina), o magari una fresca granita con brioche con il tùppu

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