Quando il dizionario non basta più: le espressioni siciliane intraducibili

In certe circostanze, per quanto ci si sforzi, risalire all’origine di un’espressione dialettale rimane ancora impossibile a causa della mancanza di studi e di fonti accreditate in merito, mentre in altre è la distanza semantica tra il siciliano e la lingua nazionale del nostro Paese a non venirci incontro. Oggi scopriamo insieme tre esempi eclatanti della seconda alternativa, ispirati dalla curiosità e dall’interesse per la varietà folclorica della parlata della Trinacria, specialmente quando rimane intraducibile e misteriosa.

Partiamo quindi con il modo di dire all’apparenza più semplice, che in una delle sue varianti più diffuse recita di l’altìzza si nni fa ligna, cioè: dell’altezza se ne fa legna. Significato superficiale cristallino, senso recondito meno immediato da cogliere. Ebbene, fuor di metafora l’espressione allude al fatto che, per quanto alto, un albero può comunque essere tagliato e usato come legna da ardere. Nonostante il suo aspetto di tutto rispetto, dunque, il suo motivo di vanto può consumarsi senza che ne rimanga traccia. Se volessimo provare a pensare a un concetto simile in italiano, potremmo associarlo alla lontana al detto tutto fumo e niente arrosto, senza però che le due formule idiomatiche si sovrappongano completamente.

Lo stesso discorso vale per il proverbio siculo lassàri ‘a pezza pi quannu veni ‘u purtùsu, in altre parole lasciare (a portata di mano) la pezza per quando si formerà il buco. Del sostantivo purtùsu avevamo già parlato in precedenza in maniera più approfondita, oggi cerchiamo di andare a fondo in questa espressione e proviamo ad accomunarla indirettamente all’idea di aspettare qualcosa o qualcuno al varco, fino al momento in cui si presenterà la giusta occasione per agire in un determinato modo.

Infine, da menzionare è senza dubbio anche l’espressione ‘na cosa ha rittu e rumpisti ‘a stroppa – equivalente a hai detto una cosa e hai rotto la corda, da dire quindi a chi dovesse avere compiuto una sola azione, peraltro rapida e di poca importanza, ma sia stato capace con quel poco di fare precipitare repentinamente una situazione. L’etimologia del termine stroppa è latina e il sostantivo deriverebbe dalla voce stroppus, che significava appunto benda, fascia, nastro, corda o cinghia. Eppure, non è ancora chiaro perché il parlare a sproposito nell’immaginario di un siciliano rompa la corda: forse perché è stata tirata troppo senza che ce ne si sia accorti, forse per ragioni legate a un contesto quotidiano andato perduto con il tempo.

Ciò che conta, perfino nei casi di maggiore oscurità semantica, è in ogni caso la forza evocativa del dialetto, la sua capacità di descrivere la realtà per traslazione e la fantasia con la quale, tra un gioco di parole e l’altro, riesce a colorare il mondo in cui abitiamo di tinte singolari e difficili da replicare.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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